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La formica e l’elefante: I am not Madame Bovary di Feng Xiaogang (2016)

Il cerchio viene spesso associato all’idea di perfezione. Sembra esserne consapevole Feng Xiaogang, il regista del film di cui parliamo oggi. I am not Madame Bovary è giunto in un momento in cui pensavo che il cinema, da un punto di vista puramente tecnico, non avesse più molto da dire. Eppure, Feng ha saputo lasciarmi a bocca aperta, dimostrando che l’innovazione in ambito cinematografico non deriva necessariamente da nuovi software in grado di realizzare effetti speciali ultrarealistici o da nuovi macchinari che permettano di realizzare complicatissimi movimenti di macchina. Il regista cinese, infatti, prende spunto da certa arte europea del ‘500 e da una tecnica cara al cinema muto, quella dell’iris, per realizzare un film che per quasi tutta la sua durata presenta un aspect ratio tondo. Quello che vediamo, dunque, sembra essere un pronipote di dipinti come il celeberrimo Tondo Doni di Michelangelo. Tuttavia, la sensazione che abbiamo durante la visione di questo quasi-capolavoro è quella di osservare la vicenda raccontata attraverso il buco di una serratura od attraverso un cannocchiale, come se spiassimo la protagonista e tutti gli altri personaggi da lontano, senza volerci far vedere, come dei voyeur.

La storia di I am not Madame Bovary è quella di una donna, Li Xueliang (interpretata da una bravissima Fan Bingbing) che, un anno prima degli eventi narrati nel film, aveva inscenato un divorzio con il marito per ottenere una casa più grande. Il piano era quello di divorziare e poi risposarsi, tuttavia il marito si è sì risposato ma con un’altra donna. Li, dunque, decide di far invalidare il divorzio ma senza successo e così va a Pechino, in concomitanza dell’Assemblea nazionale del popolo, per condurre una protesta pacifica che ben presto renderà la donna la persona più temuta dal governo. Infatti, la protagonista si reca per ben dieci anni consecutivi nella capitale cinese, sempre in occasione della suddetta assemblea, per protestare. “Un seme di sesamo è diventato un cocomero. Una formica è diventata un elefante”, afferma il presidente dell’assemblea, la perfetta sintesi della trama del film.

L’eleganza compositiva di Feng Xiaogang.

Madame Bovary, protagonista dell’omonimo romanzo di Gustave Flaubert, era una donna adultera, così come lo era la donna citata nel titolo originale del film (Wǒ Búshì Pān Jīnlián), Pan Jinlian, un personaggio appartenente alla tradizione letteraria cinese, archetipo della femme fatale e patrona dei bordelli e delle prostitute. Ciò spiega la vera intenzione della protesta di Li Xueliang, la quale, durante un litigio con l’ex marito, viene etichettata proprio come una Pan Jinlian, poiché, quando i due si erano sposati, la donna non era vergine. La protagonista, dunque, conduce questa battaglia pacifica per riscattare il proprio nome, come affermerà lei stessa nel corso del film.

Abbiamo parlato, in apertura di articolo, della meravigliosa scelta di Feng Xiaogang di utilizzare un aspect ratio tondo (primo caso nella storia del cinema di un film quasi interamente girato così), tuttavia, nelle sequenze ambientate a Pechino, il formato diventa 1:1, quasi a rispecchiare il rigore e la rigidità della mentalità delle grandi città e dell’ambiente politico. È inoltre da notare il fatto che in queste scene “quadrate”, Li Xueliang è spesso incorniciata in frame interni al film, come se lei non appartenesse a quel luogo e fosse isolata. Esemplare è, in questo senso, la bellissima inquadratura del suo arrivo nella capitale, nella quale la vediamo riflessa all’interno di uno specchio quadrato posto nel rimorchio di un camioncino: è spaesata, visibilmente fuori luogo e, per questo, non vediamo direttamente la donna ma la sua immagine riflessa e rinchiusa in un “frame within a frame”.

Un esempio di “frame within a frame” in una delle scene ambientate a Pechino.

Il film, dai forti toni drammatici, sottende un’ironia surreale che, a tratti, mi ha ricordato quella del grande regista svedese Roy Andersson (che ricordiamo per film come You, the living, Canzoni dal secondo piano o Un piccione seduto su un ramo riflette sull’esistenza). Un caso ridicolo, come quello di un divorzio, viene ingigantito per la testardaggine di una donna che ben presto diviene ricercata, alla stregua di una criminale: le basi per una commedia satirica ci sono e Feng Xiaogang, insieme allo sceneggiatore Liu Zhenyun, non rinuncia a suscitare qualche sorriso, perlopiù amaro, sebbene la vicenda di Li Xueliang si faccia sempre più tragica con il passare del tempo. Lo sguardo che ci offre il regista è ricolmo di tenerezza ed umanità, fortemente empatico con la protagonista, con la quale è impossibile non entrare in sintonia sin da subito, nonostante la sua battaglia al limite della follia. Ci intrufoliamo nella sua storia con un cannocchiale per poterla osservare di nascosto e ne veniamo ammaliati, ci emozioniamo e sorridiamo amaramente, grazie anche alla formidabile composizione delle immagini di Feng, regista quasi del tutto sconosciuto in Italia (il mio disgusto per i distributori italiani non avrà mai fine) ma dall’occhio raffinatissimo, che crea dei veri e propri dipinti in movimento. Il cerchio è spesso associato all’idea di perfezione. E Feng Xiaogang ne è consapevole.