Da decenni ormai la stra-maggioranza dei registi italiani, sia indipendenti che mainstream, ha perso il coraggio di osare. Non mi riferisco all’osare inventando nuovi linguaggi cinematografici e stili. Per osare intendo raccontare storie scomode, storie capaci di denunciare a viso aperto le storture del sistema. Si contano sulle dita della mano i registi coraggiosi.
E per contarli, di mano ne basta e avanza solamente una. Rosso Fiorentino è uno di questi. In una realtà cinematografica, quella italiana, dove da lungo tempo vige la dittatura della commedia e dei drammi intimisti, Rosso Fiorentino, al secolo Paolo Badali, dirige un film che apertamente critica la casta delle forze dell’ordine (Polizia, Carabinieri, guardie carcerarie). Il budget di Fiorentino è ridicolo se lo si confronta con quello di altre pellicole che hanno trattato l’argomento, vedi “Diaz” di Vicari o “ACAB – all cops are bastards” di Sollima.
E si vede. La fotografia non è molto curata, alcune locations sono poco credibili. Il cast non è certo costituito da professionisti navigati. L’unica interpretazione di livello è quella di uno strepitoso Romeo Cirelli, nei panni di un agonizzante e abbandonato a se stesso Stefano Cucchi. “Figli come noi” narra 5 storie VERE italiane di abusi (da parte di dipendenti dello Stato), che hanno portato a risultati tragici. In un modo o nell’altro hanno portato alla morte delle vittime degli abusi.
Fiorentino non fa i nomi per questioni legali e di privacy. Ma è evidente a tutti che le storie sono quelle di Stefano Cucchi, Federico Aldrovandi, Katiuscia Favero, Giuseppe Uva e Alberto Bigioggero, gli anarchici Sole e Baleno. Il racconto è scandito dalla fredda lettura degli atti processuali e delle dichiarazioni dei vari esponenti delle forze dell’ordine, spesso in enorme stridore con le immagini che sfilano sotto gli occhi dello spettatore.
Fiorentino con coraggio svela tutte le bugie e le infamie dei carnefici in divisa. Carnefici che dovrebbero svolgere mansioni ben diverse. Dovrebbero difendere i cittadini, non torturarli e massacrarli. In “Figli come noi” si analizzano solo 5 casi, ma in realtà, dal Dopoguerra in poi, di abusi di questo genere ce ne sono stati decine di migliaia in Italia. E per lo più impuniti, o puniti lievemente. Pur con mille difetti tecnici, dovuti soprattutto al budget inesistente, questo film è più che mai necessario nel nostro asfittico panorama cinematografico. Come e più di un “Diaz”. Soprattutto perché affronta i casi di Aldrovandi e Favero, una vergogna senza fine per lo Stato italiano.
E’ sbagliato fare classifiche sulla gravità di questi fatti, sono tutti gravi. Tutti meritano giustizia. Ma per chi scrive i fatti di cronaca riguardanti Aldrovandi e Favero hanno un surplus di aberrante follia che lascia basiti. Fiorentino non si tira indietro filmando le situazioni più delicate, quelle relative agli stupri subiti dalla Favero e al selvaggio pestaggio e stupro subito da Uva. Sequenze durissime, dalle quali non è facile non distogliere lo sguardo. Immagini di violenze che fanno male al cuore, soprattutto perché perpetrate da uomini in divisa, uomini che dovrebbero difendere noi cittadini, non mandarci all’altro mondo. Una applauso sincero a tutte le persone che hanno contribuito a dar vita a questo film, importante e necessario come pochi.