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Father Stu – La storia vera del prete pugile

E’ buona norma non introdurre la discussione su un film, citando altre recensioni. Ma possiamo, anzi dobbiamo farlo per Father Stu, perché il dato in questione, non solo fa riflettere, ma può incoraggiare o meno lo spettatore a vedere questa pellicola. Il film infatti ha fatto registrare uno dei più evidenti gap tra il giudizio del pubblico e quello della critica.

Se Father Stu infatti è stato molto apprezzato dallo spettatore medio, lo stesso non si può dire dalla critica.

Il primo ha elogiato l’intensa ed emozionale parabola di uno scapestrato pugile Stuart “Stu” Long (Mark Wahlberg), dedito all’alcolismo e al rancore verso un padre assente (Mel Gibson). Una pecorella smarrita che dopo un incidente stradale “miracolosamente” addiviene ad una conversione religiosa, diventando uno dei più stimati ed amati preti del Montana.

La critica d’altra parte ha smontato la pellicola definendola noiosa a causa di una sceneggiatura prevedibile e senza ambizioni.

Ma partiamo dalla genesi del film, originariamente scritta da David O. Russell (chissà cosa sarebbe stato…) e ispirata alla storia vera di Stu Long, il pugile prete. Poi però lo sceneggiatore e regista di film come The Fighter e Il lato positivo, si è defilato pare per la direzione presa dalla produzione del film. Nella pellicola è subentrata infatti la mano del “devoto” Mark Wahlberg, fedele cristiano e piena crisi mistica. L’attore nel nome del signore, ha persino rinnegato la sua migliore performance nel meraviglioso Boogie Nights di PTA. I milioni investiti da Wahlberg nel film hanno indirizzato la pellicola verso la strada del proselitismo e dell’emozione facile. Per tal ragione serviva un nuovo regista e una sceneggiatura più “cristiana”. Ed ecco spuntare dal cilindro la fidanzata di Mel Gibson, altro passionario cattolico (nonostante le botte alle ex mogli).

La bella Rosalind Ross (classe 1990), praticamente senza alcuna esperienza, si è cimentata nella riscrittura dello script e si è anche sobbarcata l’onere di dirigere il film della coppia Wahlberg/Gibson.

Il risultato non è noioso come dicono i critici bacchettoni, ma è semplicemente scontato.

Il messaggio sembra essere ‘Alla fine, Stu è diventato un prete e tutti hanno applaudito‘”.

E’ esattamente così. La pellicola gira intorno a se stessa, non ha un reale scopo, se non essere uno spot promozionale per il signore, anche quando prova ad oscurate l’operato della Chiesa.

Father Stu invece non ha antagonismi, contraddizioni, paure ed è alimentato solo da poche dogmatiche certezze e una linea narrativa troppo prevedibile.

Pur apprezzando alcuni momenti registici che ricordano l’enfasi del primo Gibson (non vogliamo alludere che sia stato lui a dirigerlo al posto della fidanzata), e qualche monologo, per il resto vedere Father Stu è un po’ come andare ad un concerto christian rock strafatti di coccoina.

Dispiace molto vedere buttate letteralmente nel cesso (perdonerete il francesismo), le interpretazioni, o meglio il potenziale interpretativo di Mark Wahlberg (notevole il suo sforzo nel prendere 10 kg), Mel Gibson, Malcom McDowell e la solita straordinaria Jacki Weaver.

Per palati o serate poco esigenti.