Qualche giorno fa stavo guardando la televisione, quando, ad un certo punto, è passato, tra una pubblicità ed un’altra, il trailer del film Valerian e ho iniziato a ragionare circa il progresso tecnologico in ambito cinematografico. Senza ombra di dubbio, l’evoluzione della tecnologia apporta delle importanti migliorie in qualsiasi ambito, quello del cinema compreso. Per fare un esempio, un film come 2001: Odissea nello Spazio di Stanley Kubrick sarebbe stato impensabile solo una decina di anni prima o, meglio ancora, una fotografia come quella di Barry Lyndon sarebbe stata impossibile da ottenere prima del ’66 (il film è del 1975), poiché le lenti Zeiss utilizzate sono state prodotte proprio nel 1966. È il progresso tecnologico ad aver permesso al Maestro di realizzare due dei film più importanti e belli di sempre.
Tuttavia, nel cinema contemporaneo stiamo vivendo un fenomeno, che non esiterei a definire addirittura una piaga, in cui la tecnologia sta invadendo a poco a poco la produzione cinematografica. E non mi riferisco alla tecnologia legata a nuove macchine da presa, nuovi sistemi di illuminazione o di registrazione dell’audio. No. Quello di cui sto parlando è l’uso sempre più invadente che le grosse produzioni stanno facendo della Computer-Generated Imagery, o CGI.
I problemi della CGI
Il cinema è nato come un’arte profondamente legata alla materia e così si è evoluta, rimanendo sempre legata ad essa. Fino a una ventina d’anni fa, quello che vedevamo in un film era ciò che la macchina da presa riprendeva, tutto (o quasi) esisteva materialmente. Il cinema viveva ancora di realtà, ciò che stupiva lo spettatore erano l’abilità del regista e di tutta la troupe di rendere memorabili luoghi realmente esistenti e che, magari, normalmente sarebbero stati anonimi e anche la storia che in quei luoghi si svolgeva.
Oggi, invece, moltissime grosse produzioni dedicano quasi la totalità delle proprie forze alla realizzazione di effetti speciali in computer grafica meravigliosi, trascurando, però, gli aspetti sul quale il cinema (almeno quello di finzione) si basa, come la regia, la scrittura di una storia convincente e coinvolgente, il montaggio, ecc. Un film che ha fatto della computer grafica il suo punto di forza, Avatar, ha una buona regia ed un buon montaggio (d’altronde, James Cameron non è proprio l’ultimo arrivato) ma soffre di una storia ai limiti del ridicolo, già vista e rivista numerose volte. E questo è solo uno dei moltissimi esempi.
Non è solo questo il grosso problema della computer grafica nel cinema ma ce n’è anche uno che, se possibile, è ancora più grave: capita spesso, infatti, che gli elementi aggiunti in post-produzione e gli attori e tutto quel poco che si muove davanti alla macchina da presa non siano ben mischiati insieme, creando un effetto a tratti stomachevole, con degli attori che palesemente si muovono in un mondo che non è quello che vediamo sullo schermo, compiendo gesti molto vaghi, rivolgendo sguardi insicuri e, in generale, fornendo prestazioni insufficienti che vanificano gli sforzi che gli vfx artists fanno per realizzare un mondo convincente al computer.
Un altro problema che si riscontra nelle produzioni di questo tipo è l’estrema diversità nella regia. Diversità non intesa come varietà, come capacità di adattarsi alla situazione. Per spiegare meglio questo punto, prendiamo ad esempio il film Tartarughe Ninja – Fuori dall’ombra di Dave Green: questo film presenta sequenze girate con attori in carne ed ossa ed altre girate solo con computer grafica, soprattutto quelle di azione. La differenza tra le regie dei due tipi di sequenze è così profonda da essere fastidiosa. Le prime, infatti, sono girate con inquadrature piuttosto statiche e posate, piuttosto tradizionali; le seconde, invece, sono caratterizzate da movimenti di camera amplissimi, la regia si fa ipercinetica per qualche minuto per tornare, poi, una volta finita la scena d’azione, nuovamente tradizionale. Le tecniche di ripresa dei due tipi di scena sono troppo diverse tra loro per rendere il film stilisticamente coerente. Certo, i movimenti di macchina così acrobatici e spettacolari, se solo fossero stati fatti da un regista competente, sarebbero stati veramente meravigliosi (anziché confusionari e disturbanti, nel peggior senso del termine possibile, come spesso accade in questo film), tuttavia il problema dell’incoerenza stilistica sarebbe rimasto.
Quando la CGI è un bene
Sto facendo di tutta l’erba un fascio? Assolutamente no. Ci sono film che agli effetti speciali al computer danno una grandissima importanza. Uno su tutti, Gravity di Alfonso Cuaròn. Una regia elegantissima ed una storia che, per quanto semplice, è molto coinvolgente. La computer grafica riveste sì un ruolo importante per quanto riguarda la creazione di un’atmosfera minacciosa e straniante ma resta, comunque, sullo sfondo, non diventa un protagonista del film come accade in buona parte dei film in cui viene usata.
Dunque, la computer grafica è totalmente un elemento negativo? Assolutamente no. Lo è quando snatura il cinema live action, togliendo moltissimo al concetto di “live”. È utilissima, invece, quando serve a ricostruire location che, o per motivi di budget o per altre cause di forza maggiore, non è stato possibile sfruttare. Come, ad esempio, in diverse sequenze di The Wolf of Wall Street di Martin Scorsese, nelle quali il paesaggio è stato modificato in post-produzione per sottolineare la ricchezza di Jordan Belford, come nella scena della festa in cui il protagonista incontra la sua futura sposa: la casa in cui il party si svolge è reale, mentre il vicinato è stato realizzato al computer. O nella scena in cui Naomi arriva allo yacht piangendo: il porto e tutta la città che si vedono sullo sfondo sono stati realizzati in post-produzione, per ottimizzare i costi durante le riprese.
Ancora, la cgi si rende estremamente utile per realizzare ostacoli per i personaggi senza mettere a rischio l’incolumità degli attori, come nel caso dell’orso di The Revenant di Alejandro González Iñárritu, nel quale sarebbe stato estremamente pericoloso far lottare Di Caprio con un vero orso, per quanto addomesticato esso potesse essere. Oppure risulta estremamente utile quando c’è bisogno di riportare in vita attori defunti. In passato, alcuni attori hanno continuato a “recitare” anche dopo la propria morte, per mezzo di espedienti che hanno prodotto dei risultati talvolta ridicoli (come tutti i film con protagonista Bruce Lee… dopo che Lee era morto!); oggi, invece, grazie alla computer grafica, è possibile ricreare le fattezze di questo o quell’attore in post-produzione, come è successo con la principessa Leila di Star Wars, apparsa in Rogue One con le fattezze di Carry Fisher ricostruite grazie ai potenti mezzi informatici di cui dispongono le grosse produzioni oggi.
Detto ciò, non tutti i film che ritagliano un ruolo molto importante per gli effetti speciali al computer sono da criticare. Alcuni sono delle vere e proprie opere d’arte, come Il labirinto del Fauno di Guillermo Del Toro, questo perché, a differenza della maggior parte dei film che sfruttano parecchio la cgi, il team scelto dal regista ha saputo usare questo strumento con un eccellente gusto artistico, invece di puntare solo sulla “tamarraggine” tipica di molti blockbusters.
Non leggete questo mio j’accuse come lo sfogo di un nostalgico degli effetti speciali pratici accecato dal pensiero populista “una volta era meglio”. Certo, alcuni film del passato hanno fatto scuola e hanno degli effetti speciali ancora oggi molto convincenti: oltre al già citato 2001: Odissea nello spazio, anche i film di Mario Bava presentano dei trucchi visivi veramente stupefacenti. Nel 1975, lo stesso Bava, insieme a Carlo Rambaldi, è stato intervistato al programma di Luciano Rispoli L’ospite delle due, nel quale ha discusso e illustrato alcune delle sue fantastiche illusioni, basate su giochi di luci e di lenti
Quegli stessi trucchi non risultano posticci come molti effetti speciali di pellicole datate sono, ma molto credibili, realizzabili ancora oggi senza bisogno di fare eccessivo ricorso alla cgi.
La computer grafica è come un qualsiasi alimento: se usata nelle giuste dosi, fa bene; se, però, si esagera, diventa dannosa. E, ahimè, oggigiorno viene sfruttata troppo e male.