Avevamo già recensito Arrival in occasione del 73° Festival di Venezia, ma il film merita senz’altro di essere ripreso in occasione dell’uscita italiana nelle sale…
Ci sono due grandi tòpoi del cinema sci-fi in Arrival, ma solo uno è presentabile senza fare spoiler giganteschi; giganteschi come le astronavi monolitiche su cui atterrano gli alieni sulla Terra.
Un ottimo lavoro di marketing nel dare rilievo più ai monoliti che agli alieni (che si faranno attendere anche nella pellicola), non essendo questo un film che punta sulla spettacolarizzazione o guerre intergalattiche.
Arrival è un film intimista.
Gli alieni non sono un pretesto, ma ben presto il tema centrale del film -la difficoltà di comunicare- si decentra dalla comunicazione con forme di vita extraterrestre, e mette in gioco la stessa difficoltà con gli altri; prima ancora, con noi stessi.
La linguista Lousie/Adams è quindi paradigma della nostra umanità, dell’importanza del saper relazionarsi; un dramma nella propria vita che in questo forse la ostacola, pur definendola allo stesso tempo…
Il tempo è proprio un altro concetto chiave del film, ma non intendo spingermi oltre; resta da dire che ormai Villeneuve è una garanzia, costantemente capace di stupire ed emozionare, anche solo a livello visivo. Lo ha già fatto in passato con Sicario, col forse meno noto Enemy (che qui cita più o meno palesemente).
E non possiamo che essere felici nel vedere quello che probabilmente è il successore di Mann.
Da vedere.