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La ragazza di Stillwater – La Recensione

C’è un fil rouge nella filmografia di Tom McCarthy, caratteristiche e stilemi da virtuoso auteur.

Ed è cinema di Tom McCarthy anche quello de La ragazza di Stillwater, tematicamente legato a L’ospite inatteso in quanto indagine socio culturale da una parte e impianto thriller mainstream dall’altro in stile Il caso Spotlight.

La pellicola è liberamente ispirata ai fatti di Amanda Knox e all’omicidio di Meredith Kercher e ha fatto non poco irritare la Knox che ha ritrovato nella storia fin troppi riferimenti non proprio lusinghieri.

Ma l’obiettivo di Tom McCarthy era molto lontano dalla spettacolarizzazione di un fatto di cronaca. Il regista di New Providence, classe ’66, tanta gavetta come attore, arrivato al suo settimo film e con un Oscar alle spalle si concentra soprattutto sui personaggi partendo proprio dal protagonista, un operaio che parte dall’Oklahoma che va a trovare a Marsiglia, sua figlia Allison (Abigail Breslin) studentessa ora in carcere, per aver ucciso un’altra ragazza, di cui era innamorata.

Certo della sua innocenza, Bill (interpretato da Matt Damon) uomo semplice, credente e di poche parole, sarà costretto a fermarsi più del dovuto per seguire una pista suggeritagli dalla figlia e trascurata dal suo avvocato. Durante la permanenza l’uomo conoscerà Virginie (Camille Cottin), un’attrice teatrale e sua figlia Maya (la giovanissima Lilou Siavaud), alle quali Bill si affezionerà nonostante le differenze culturali e le barriere linguistiche.

Ed è proprio qui che troviamo la ragion d’essere di questa pellicola.

Se da un lato l’autore s’incolla al protagonista concentrandosi sulle emozioni di un padre disposto a qualsiasi cosa pur di far luce sulla verità, parallelamente il film è soprattutto indagine su differenze e stereotipi culturali.

Come riesce la vita fascinosa, libertina e colta di una giovane mamma e attrice francese a trovare spazio per quella sobria e devota di un americano tipo, filo trumpiano e con un paio di pistole a casa?

Persino Marsiglia finisce in questa dipinto caricaturale di McCarthy, così piena di facezie stereotipate che neanche Allen in To Rome with Love. Ma il risultato riesce comunque a convincere, perché il regista pur non rinunciando mai alla struttura thriller/indagine, scruta nelle emozioni di tutti i suoi personaggi, senza trascurarne neanche uno.

Giungendo alla conclusione che siamo strettamente interdipendenti dal posto da cui veniamo (come ne Il caso Spotlight e la grigia omertosa Southie) e finiamo spesso con l’essere quel posto.

Spoiler Allert

Il posto da cui veniamo, il nostro heimat che ci definisce e/o ci tradisce come la catenina che Bill compra ad Allison con la scritta Stillwater (“un pezzetto di casa da portare con te”).

Ottima la performance dell’eterogeneo cast, con Matt Damon in una delle sue prove più umane, l’attrice francese Camille Cottin (che rivredemo presto in House of Gucci) e la solita bravissima Abigail Breslin.