“Sei così bella che stento a tenere gli occhi sul tassametro.”
Il 25 aprile del 1979, in 29 sale americane viene proiettato per la prima volta Manhattan, capolavoro di Woody Allen. Oggi dunque festeggiamo, con un po’ di malinconia e un filo di apprensione per gli anni che passano, il 40mo compleanno di uno dei film più rappresentativi dell’autore di New York, ma anche una delle pellicole più iconografiche della Grande Mela. La trama ruota attorno ad una serie di relazioni sentimentali tra alcuni personaggi della bourgeoisie intellettuale tanto cara ad Allen. Anche se non manca qualche stoccatina:
“Lui è un genio, Helen è un genio… Ma sai che conosci un sacco di geni? Frequenta qualche cretino, ogni tanto; potrai imparare qualcosa.”.
Pare che lo spunto iniziale della storia sia nata dalla relazione tra il regista e la giovanissima Stacey Nelkin che avrebbe ispirato ad Allen il personaggio di Tracy, interpretato dall’allora 19enne Mariel Hemingway. Ma bando agli aneddoti pruriginosi, Manhattan è stato, ed è ancor oggi, uno dei film più amati dai fan di Allen. Non ricordo, tra gli anni ’80 e gli anni ’90, un appartamento che non avesse la locandina della pellicola affissa in bella vista nel soggiorno.
Ci sono molti fattori che hanno contribuito a rendere Manhattan un icona, seminale tanto per il regista quanto per centinaia di altri autori, che a lui e al film, si sono ispirati.
In primis il b/n di Gordon Willis già collaboratore di Coppola (Il Padrino), di Alan J. Pakula (Tutti gli uomini del presidente) e dello stesso Allen (Io e Annie). Una rigorosa scelta stilistica che amplifica il tono elegiaco dell’opera e fa da contrapposto alla brillante verve comica dei dialoghi. Anni dopo in Crimini e Misfatti, Allen dirà:
“È molto, molto difficile mettere d’accordo cuore e cervello. Pensa che, nel mio caso, non si rivolgono nemmeno la parola”.
In questo Manhattan sembra essere una delle sue pellicole più riuscite. Da una parte la nostalgia e sofferenza per l’amor perduto che ispira all’autore alcune delle sue migliori quotes comiche. Dall’altra parte invece la necessità di affrancarsi dallo stand up comic degli anni che vanno dal ’64 al ’68 e che sembrano perseguitarlo. “Ci piacciono i tuoi film, specialmente i primi, quelli comici” ci ricorda in Stardust Memories.
Allen non rinnega la sua natura di comico, ma ha ormai piena consapevolezza del suo status di auteur che ambisce ed emula, talvolta palesemente, i suoi idoli da Bergman a Fellini. “Se diceva un’altra cosa su Bergman con un cazzotto le rompevo le lenti a contatto!”
Le sue intenzioni sono chiare dall’incipit, in uno dei dialoghi memorabili della storia del cinema. Lo Skyline di Manhattan sulle note della celebre Rapsodia in blu di George Gershwin. Peter Bradshaw del Guardian, ha scritto: “È quasi impossibile credere che la musica non sia stata composta appositamente per il film. E ora è quasi impossibile sentirla senza pensare al film.”
Capitolo primo. “Adorava New York. La idolatrava smisuratamente…” Ah no, è meglio “la mitizzava smisuratamente”, ecco. “Per lui, in qualunque stagione, questa era ancora una città che esisteva in bianco e nero e pulsava dei grandi motivi di George Gershwin…” Ah no, fammi cominciare da capo…
In quelli che posso sembra vezzi stilistici ed estetizzanti, il film è una dichiarazione d’amore verso la sua città. Ma anche verso la sua cultura. E allora Allen non rinuncia a plasmare la pellicola in una enciclopedia di comicità yiddish, autoreferenziale, autocritica e autoironica. “Senti, non dovresti consigliarti con me quando si tratta di rapporti con le donne. Io sono il vincitore del premio Sigmund Freud.”. O anche: “Anni fa scrissi un racconto su mia madre, intitolato La sionista castrante”.
Com’era stato anche per Io e Annie e come sarà per Hannah e le sue sorelle in un’ideale Trilogia Manhattiana (espressione che fa il verso a quella di Paul Auster, altro cantore della Grande Mela), Allen ripone il cuore esegetico della pellicola nel concetto più astratto di amore, innamoramento e infatuazione. Per una donna certo, ma anche per tutto ciò che dà un significato alla vita e la rende meritevole di essere vissuta. “Be’, ci sono certe cose per cui valga la pena di vivere. Ehm… Per esempio… Ehm… Per me… boh, io direi… il vecchio Groucho Marx per dirne una e… Joe DiMaggio e… secondo movimento della sinfonia Jupiter e… Louis Armstrong, l’incisione di Potato Head Blues e… i film svedesi naturalmente… L’educazione sentimentale di Flaubert… Marlon Brando, Frank Sinatra… quelle incredibili… mele e pere dipinte da Cézanne… i granchi da Sam Wo… il viso di Tracy…”.