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Glass (2019) – La Recensione

Siete un gruppo di sbarbatelli con gli ormoni a mille e una passione dogmatica e popcornara per l’universo Marvel e/o Dc? Avete un’inconfessata attrazione omoerotica per la frase “Io sono Batman!”? Ok, è tutto apposto, ma lasciate stare Glass. Non è il film adatto a voi.

Qui non parliamo di una pellicola con invincibili supereroi, ma di un film SUI supereroi. Sulle responsabilità morali ed etiche di avere i superpoteri? Tipo “With great power comes great responsibility“? No, non proprio, qui si parla dell’atroce condizione umana di avere gravose peculiarità fisiche e/o psicologiche. Ma partiamo dal principio.

Unbreakable, Split, Glass.

Indistruttibile, diviso, vetro. Tutto ebbe inizio nella contorta mente di M. Night Shyamalan, creatore dell’universo a cui appartengono il Sorvegliante, la Bestia e la Mente Superiore. Tre personaggi che vengono fuori da due film Unbreakable e Split. Il primo risale al 2000 e ha come protagonisti Bruce Willis e Samuel L. Jackson e parla di un certo David Dunn, un uomo qualsiasi che si risveglia al pronto soccorso di un ospedale di Filadelfia, miracolato poiché unico superstite in un incidente ferroviario in cui sono periti 131 passeggeri. Quindi c’è Elijah Price, un uomo gravemente malato di osteogenesi imperfetta, in pratica gli basterebbe una penna a stilo per fratturarsi tutte le ossa. Il resto della storia vi conviene recuperarla prima di inoltrarvi nel meandri di Glass.

Split invece probabilmente lo avete più fresco in mente. Un gigantesco James McAvoy interpreta un criminale statunitense affetto da disturbo dissociativo dell’identità e con lui 23 personalità distinte ognuna definita da voce e fisicità differenti. Una manna dal cielo per un attore versatile come McAvoy.

Shyamalan decide quindi di creare questo assurdo e geniale crossover. Quando alla fine di Split apparve brevemente Bruce “unbreakable” Willis, in quel clamoroso twist ending, siamo rimasti tutti senza parole e in attesa ovviamente dello showdown finale(?). Una pirotecnica e violenta resa dei conti.

Purtroppo si può spoilerare pochissimo della storia, ma diciamo che un nuovo personaggio la dott.ssa Ellie Staple (Sarah Paulson) riesce a rinchiudere i tre subumani o presunti tali, in un istituto psichiatrico giudiziario. Il suo scopo è quello di convincerli che i loro superpoteri in realtà sono il frutto della loro immaginazione.

Qui nasce il primo problema per gli sbarbatelli di cui sopra e in generale per il pubblico medio abituato alle giostre videoludiche dei vari Avengers.

Per buona parte del film infatti, abbiamo immagini, suggestioni, risvolti psicologici, capovolgimenti narrativi e tanti umidi corridoi. Niente botti e niente cazzotti, ma tutto ciò che serve a Shyamalan per definire i suoi personaggi al meglio e congelare la tensione dello spettatore.

Dietro poi c’è anche un’altra riflessione. La bolla sta per esplodere e l’esasperante e mo/l/d/esto universo dei supereori dopati da Hollywood è arrivato ad un punto di non ritorno. Shyamalan allora resetta tutto e riparte dalle emozioni primordiali che c’hanno fatto innamorare dei supereroi. Operazione dolorosa ma necessaria che in molti non capiranno, definendo Glass come il cinecomic più lento e noioso mai realizzato. Ovviamente non è vero. E’ solo ciò che non ti aspetti.

A margine (ma neanche tanto) ci sono poi alcune considerazioni da fare. La prima è che gli attori sono sempre gli stessi, compreso Spencer Treat Clark, figlio di Bruce Willis a 13 anni in Unbreakable e ora a 30 con Glass. Quindi il riuscitissimo uso del footage video dei due film precursori che garantisce a Glass un’emozionante continuità visiva, paragonabile solo a Boyhood di Richard Linklater. Quindi il fatto che ancora una volta Shyamalan si sia affidato a Jason Blum e alla sua Blumhouse Productions, non solo una produzione, ma un’ideologia quasi maoista di vedere il cinema. L’uomo e la produzione che hanno speso 14mila dollari per Paranormal Activity ricavandone 200 milioni. Metacinematograficamente ciò che serviva a Shyamalan, ridimensionare il cinema d’intrattenimento dei superpoteri e ripartire da zero.

Insomma meno uomini d’acciaio e più uomini di vetro.