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Venezia 73: American Anarchist – la recensione

La Sposa” torna a trovarci parlando del film sull’ “esplosivo” libro di William Powell.

Nel 1971 il diciannovenne William Powell decide di scrivere il libro “The anarchist Cookbook“: manuale per la lotta al sistema contenente le istruzioni dettagliate per la costruzione di bombe, la realizzazione di sabotaggi e molti altri spunti indispensabili per una “Rivoluzione sociale” che, nell’epoca del Vietnam e delle proteste contro Nixon, pareva inscindibile dall’uso delle armi.
Quarant’anni dopo Powell è un professore che si occupa di ragazzi con problemi di apprendimento, lavoro che lo ha portato a girare il mondo senza però riuscire mai a scrollarsi di dosso questa scomoda “paternità”. Soprattutto perché il suo “Cookbook” è stato spesso collegato alle più recenti stragi avvenute nei campus americani, come Columbine o la California, ma anche ad alcune operazioni riconducibili all’Isis e Al Qaeda.
Il regista Charlie Siskel, in una lunga ed intelligente intervista, interroga quindi lo stesso Powell su questo suo scheletro nell’armadio mettendoci di fronte ad un sessantenne ormai scollato totalmente dal giovane arrabbiato che scrisse il “Cookbook“, forse un po’ impacciato nel prendere le distanze dalla sua “opera”, ma che processa lucidamente le motivazioni e la genesi di un libro così scomodo senza però più riconoscersi in esso.
Sopratutto, Siskel getta le basi per interessanti spunti di riflessione sulla responsabilità della persona verso la responsabilità dell’azione.
E sulle responsabilità in generale, quelle che Powell ha incoscientemente ignorato da ragazzo e che si è ritrovato come pesante fardello nella vita.
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– Articolo a cura di Martina Andreoni