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True Detective 3×04 – Impantanati nelle indagini

Se lo scorso episodio ci aveva lasciato solo dubbi e mezze verità, con l’unica certezza che tutti, Hays compreso, nascondono qualcosa, ora le indagini sembrano farsi ancora più complicate e senza apparente via d’uscita.

Attenzione l’articolo contiene spoiler!

Si aprono nuove piste, quelle vecchie, ovviamente, non vengono chiuse; nuovi indizi, testimoni, sospetti, nulla riesce però a portare una svolta alle indagini. Wayne Hays e il collega Roland West rimangono impantanati; ostacolati da tutti e da tutto, remano controcorrente alla ricerca di una soluzione occulta ed elusiva. Nel 1980, scenario prediletto dell’episodio, i due brancolano nel buio, cercando l’intuizione, l’asso della manica che possa aiutarli a fare luce sul caso Purcell. Prima nella parrocchia della comunità, convinti che l’assassino/rapitore frequenti la stessa chiesa delle vittime, quindi tra le baracche dei neri emarginati, alla ricerca dell’uomo con l’occhio guercio visto in precedenza con i bambini. Ma la verità è ben lungi dall’essere scovata. Ovunque i detective incontrano l’astiosa reazione dei locali. Che essi siano bianchi o neri, il razzismo è spesso solo un pretesto per evitare che i due infilino il muso nelle vite degli scontrosi abitanti dell’Ozark.

Anche la pista dei bulli più grandi sembra spegnersi

E anche quando Amelia, cercando di aiutare il novello fidanzato Hays, si reca da Lucy, madre delle vittime, non riesce ad ottenere nulla. La Purcell si sfoga, mette a nudo le sue debolezze, i suoi rimpianti; ma, appena qualcosa riguardante il caso sembra venire a galla e viene nominata la polizia, Amelia è sbattuta in malo modo fuori dalla casa. Situazione opposta invece per quanto riguarda Tom Purcell, il padre dei ragazzi, che inizia ad aprirsi al detective West. Mostrando rimorso e insicurezza, sentimenti che invano cerca di affogare nell’alcool, lascia aperto uno spiraglio per futuri colpi di scena. Infatti il sordido segreto, la chiave di volta per le indagini, sembra ancora sepolto tra le mura di casa Purcell, dimora di una famiglia distrutta e piena di bugie.


Da una famiglia ad un’altra. Passiamo dunque al 1990, a casa Hays.

 

Wayne, chiamato da West ad indagare sul caso Purcell appena riaperto, cerca approvazione dalla moglie. Amelia tuttavia pare non esserne entusiasta, sempre più presa dal suo libro. Litigano, si pungolano. Per ora nulla che del sano sesso non possa sistemare, ma iniziano a mostrarsi i primi sintomi di un incipiente malessere nella coppia.

Un malessere che, nel 2015, oramai è compagno di un Hays sempre più vittima dei suoi fantasmi. Sembra esserci abituato, il vecchio detective. Anzi, in una scena a dir poco surreale, ci parla, chiede loro consiglio. Circondato dalle cupe figure dei Vietcong, tristi ricordi del suo passato, cerca di fare mente locale, rimembrare quanto dimenticato sul caso Purcell. Vuole, negli attimi di tregua che la demenza senile gli concede, trovare la soluzione a quel caso che lo tormenta da 35 anni. Chiede aiuto al figlio Henry per rintracciare West, sperando che sia ancora vivo. Infine si reca da Elisa Montgomery, scoprendo che la ragazza ha informazioni sul caso a lui ignote.

Poco alla volta i fantasmi vengono a galla

Eccoci dunque, a metà stagione, intrappolati, quasi soffocati, da queste indagini che procedono lentamente e senza apparenti sbocchi.

E se a qualcuno può non piacere il ritmo lento e quasi stagnante che la trama sembra aver preso, è questo invero il punto di forza che ha contraddistinto fin dagli inizi True Detective. Infatti Pizzolatto non vuole renderci semplici testimoni, ma partecipi, come se noi stessi fossimo i detective. Solo in questo modo, attraverso una completa e pedante anatomia dell’indagine, siamo in grado di immergerci in toto nella storia.

E così ogni sguardo, ogni frase, ogni fotogramma può essere la svolta affinché ognuno costruisca la sua teoria, e la trasformi man mano che le ricerche proseguono. Sebbene fin dal principio sappiamo che il caso non è stato risolto né nel 1980 né nel 1990, l’attenzione dello spettatore non scema, perché sa che ogni momento può essere cruciale per la formazione della sua ipotesi. Non è facile coniugare perfettamente l’estremo realismo con un livello accettabile di suspense. Pizzolatto ci era riuscito perfettamente nella prima stagione, inserendo proprio nel quarto episodio un intermezzo lontano dal bayou della Louisiana: il detective Cohle (McConaughey) si infiltrava in una banda di bikers texani alla ricerca di un sospettato. Momenti più consoni ad un film d’azione, che tuttavia riuscivano in maniera eccellente ad evitare la stucchevolezza e ripetitività della trama principale.

Vedremo se la violenta conclusione del quarto episodio, con l’assalto dei padri alla casa dello spazzino indiano, sarà il preludio per una simile scelta narrativa.

Articolo a cura di Alberto Viganò