christine

TORINO 34


C’è una una scena precisa che in Christine di Antonio Campos certifica la struttura del racconto: non semplicemente un film sulla parabola amara di una giornalista che ambiva al massimo, ad un’informazione veritiera ed utile al pubblico, ma una storia di mancanze e di individualismi che sfrutta il mondo del giornalismo per descrivere l’esistenza di una donna brillante e fragilissima.

Basato su un fatto realmente accaduto il film narra la vicenda di Christine Chubbuck, una giornalista di un’emittente locale di una cittadina della Florida che nel 1974, a soli 30 anni, si suicidò in diretta tv raggiungendo con quel gesto estremo la sensazionalità ricercata dal direttore nella logica del “se c’è sangue, si vende”.
L’anima del film dì Campos è senza dubbio l’interprete di Christine, una Rebecca Hall che restituisce egregiamente per tono e movenze l’indecifrabilità di una donna ossessionata dal suo lavoro, disposta ad inventarsi qualsiasi cosa per adattarsi alle nuove logiche dello studio televisivo, un’ambiente questo in cui dovrebbe sentirsi a suo agio, invece è soprattutto in questo contesto che Christine esterna le proprie fissazioni, in un malessere che la attanaglia, la inchioda intimamente, rendendola incapace di instaurare un qualsiasi contatto; gli unici attimi in cui ci pare di scorgere una donna rilassata, priva di fobie, è quando Christine fa parlare le marionette per intrattenere i bambini dell’ospedale dove fa volontariato.

Gli anni 70 sono rappresentati con molta aderenza: per costumi, suoni, e scenografie con un giallastro vintage che specie nella costruzione dell’ambiente televisivo riflette la malinconia di una donna incompresa.
E difatti la narrazione non indugia in dettagli che possano schiarire le sfumature di Christine, non lo fa perchè pur non avendo le coordinate la giovane giornalista tenta in qualche maniera di raggiungere una via d’uscita dal suo pallore emotivo, una bussola che possa guidarla fuori da fobie e da atteggiamenti autodistruttivi e umilianti.

Antonio Campos realizza un dramma equilibrato dove etica, informazione e relazioni sociali si uniscono in una storia dalle tinte ambigue e dolenti.

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Redattore

- Il cinema per me è come un goal alla Del Piero, qualcosa che ti entra dentro all'improvviso e che ti coinvolge totalmente. È una passione divorante, un amore che non conosce fine, sempre da esplorare. Lo respiro tutto o quasi: dai film commerciali a quelli definiti banalmente autoriali, impegnati, indipendenti. Mi distinguo per una marcata inclinazione al dramma, colpa del Bruce Wayne in me da sempre. Qualche gargamella italiano un tempo disse che di cultura non si mangia, la mia missione è smentire questi sciacalli, nel frattempo mi cibo attraverso il cinema, zucchero dolce e amaro dell'esistenza -