Home Speciale Approfondimenti Succession è una magnifica e malsana ossessione

Succession è una magnifica e malsana ossessione

Succession_JAMovie

C’è una puntata a mio parere che racchiude in sé tutta l’essenza di Succession. Siamo agli inizi della terza stagione, nel bel mezzo dell’ennesimo golpe tentato da Kendall ai danni del padre Logan Roy nella speranza di soffiargli l’azienda di famiglia. L’assemblea dei soci e il voto dei grandi azionisti è alle porte ed i due devono fare buon viso a cattivo gioco di fronte ad uno di questi azionisti (Adrien Brody), che li ha invitati nella sua sorta di isola privata negli Hamptons per verificare la salute dell’azienda. La passeggiata tra le dune degli Hamptons in cui il bilionario azionista fa andare in tilt i Roy sembra un cazzo di documentario sugli animali della savana che si predano e rincorrono a vicenda. È un concentrato di ironia, cinismo, bugie, complotti, segreti e tensione. C’è tantissima tensione in Succession.


Stiamo parlando della serie più bella tra le serie più belle; meglio scritta, diretta, recitata e musicata


Ma andiamo con ordine. Succession ha fatto il suo esordio nel 2018 su HBO, è diventata un successo fragoroso negli Stati Uniti (meno in Italia, ma qualcosa finalmente sta cambiando) che l’ha elevata subito a status di cult. Il motivo è semplice: stiamo parlando della serie più bella tra le serie più belle; meglio scritta, diretta, recitata e musicata (ave a te Nicholas Britell, sempre tu sia lodato – in calce all’articolo per la prova) degli ultimi anni. Ma soprattutto del tutto priva di messaggi edificanti, di una qualsiasi ansia nel farci sentire persone migliori guardandola.

Era da qualche anno che ad Hollywood girava lo script di una storia ispirata alla figura di Rupert Murdoch, il proprietario della Fox e di mezza informazione mondiale, e della sua famiglia. Tale script è giunto sulla scrivania di Adam McKay, uno dei più brillanti, lucidi e cinici narratori dell’America contemporanea. C’è lui dietro a Succession, in veste di produttore e regista del pilot, a dare l’impronta allo show.

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Provocatoria, cruda, dai dialoghi fitti e taglienti. Il presupposto narrativo è tutto nel titolo: parliamo di una successione alla guida di uno dei più grandi conglomerati mediatici al mondo costituito da giornali, emittenti televisive, case di produzione cinematografiche, parchi a tema, viaggi e crociere. A conduzione famigliare.

La famiglia di cui sopra è quella dei Roy, tanto ricchissima quanto incasinata. Il vegliardo Logan Roy (quel monumento alla recitazione che è Brian Cox) è il padre padrone, colui che ha costruito l’impero da zero e non vuole mollarlo, allo stesso tempo divora e cerca di sostentare a suo modo i 4 figli: Connor (Alan Ruck), Kendall (Jeremy Strong), Roman (Kieran Culkin) e Shiv (Sarah Snook). Al loro seguito una folta corte di dirigenti, consiglieri, arrampicatori sociali rappresentati dal Cugino Greg (ancora devo capire se ci fa o ci è), a Tom Wambsgans (marito di Shiv e dirigente aziendale), la vera linea comica dello show. Tutti pronti a ciucciare il latte e spremere la tetta della mamma (l’azienda – il complesso di edipo, in ogni sua declinazione, è un tema forte e centrale).

Nel mezzo complotti, mozioni di sfiducia, continui tentativi fraticidi e patricidi. Tutti vogliono solo una cosa: il potere e la guida del super conglomerato. Una stratificata tragedia shakespeariana alla Re Lear raccontata sotto forma di una ironica farsa ai limiti del cartoonesco con picchi di drammatica emotività devastanti. Una sorta di Sopranos del capitalismo.

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Fughiamo subito ogni dubbio: non c’è un personaggio piacevole in Succession. Sono tutti degli straricchi viziati, cinici, figli di puttana che si fanno la guerra tra di loro giustificando il tutto con una fragilità di fondo dovuta alla carenza affettiva. Sono esseri piccini e disgustosi, proprio per questo loro essere piccini, schifosi e fallibili però sono bellissimi ed umanissimi. In Succession ogni personaggio mostra le sue fragilità, insicurezze, limiti ed ossessioni. Una versione pubblica di facciata ed una privata. Desideri e movimenti narrativi precisissimi.

C’è Connor, il più grande, il primo pancake, figlio di primo letto di Logan, vive distaccato dagli altri, apparentemente disinteressato all’azienda di famiglia, si cimenta in progetti sempre più strampalati come cercare di diventare dal nulla il presidente degli Stati Uniti oppure produrre il fallimentare spettacolo teatrale della sua fidanzata.

Shiv, l’unica femmina, sempre così fredda e bilanciata in quello che dice. Inizialmente consulente politica democratica (naturalmente solo per fare torto al padre) piano piano entrerà anche lei nei meccanismi dell’azienda. Sempre in bilico nel cercare l’approvazione di papà collaborando con lui oppure distruggerlo metaforicamente, alleandosi con personaggi eticamente più presentabili.

Roman, un freak totale: cazzone sboccato, perverso, imbarazzante, volutamente crudele nel trattare le persone intorno a lui ha però rari momenti di vulnerabilità con cui è facile empatizzare. Vorrebbe fare paura, in realtà è fragilissimo.

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E poi c’è lui, il protagonista indiscusso della serie: Kendall Roy, il secondogenito della famiglia, l’erede al trono designato. Kendall è in assoluto il personaggio più complesso e drammatico di Succession ed uno dei più sfaccettati della serialità americana in generale. Un tossicodipendente, dalla vita privata devastata che non riesce a prendersi cura dei propri figli. I suoi continui tentativi di ribellarsi al padre padrone, cercando di distaccarsi ed “ucciderlo” metaforicamente vengono continuamente smorzati e frustrati.

Dovrebbe essere il più respingente di tutti ed invece alla fine finiamo per tifare per lui. Un drogato inaffidabile, bugiardo, vendicativo, omicida involontario con chiare tendenze suicide (che il padre/fratelli cercano di arginare nei picchi più drammatici della serie). Si prende troppo sul serio, è goffo, parla come se lo avessero lobotomizzato e quando finge di essere sicuro risulta solo più cringe. “Se inizio ad avere dubbi, crolla tutto”, il suo motto è crederci sempre, nonostante tutto.

Erede designato fin dalla prima puntata, riesce sempre a combinare casini e a mettersi nei guai. Forse è proprio per questo che lo capiamo, per la sua costante tensione verso l’auto sabotaggio nel momento in cui le cose gli vanno troppo bene. Ecco quindi che ci troviamo a fare il tifo per lui mentre ciondola verso un nuovo fallimento, con lo sguardo vuoto perennemente rivolto verso il nulla.

C’è un account Instagram fantastico @kendallroylookingsad che raccoglie tutte le foto in cui il personaggio interpretato da Jeremy Strong sembra triste accompagnato da un contesto “triste in un jet privato”, “triste mentre fuma una sigaretta” così via. Praticamente potrebbe essere un frame di ogni singola scena in cui appare.

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Forse il motivo per cui il pubblico di Succession tifi tanto per lui lo ha dato lo stesso Strong in un’intervista apparsa pochi mesi fa per un lungo profilo sul New Yorker: “Kendall piace perché è il fascino del principe triste, amletico e disilluso”, che eserciterà sempre fascino sugli spettatori. Forse ha ragione. È un personaggio dostoevskijano, in lui vive il delitto e il castigo che si autoinfligge per espiare le sue colpe.


È un personaggio dostoevskijano, in lui vive il delitto e il castigo che si autoinfligge per espiare le proprie colpe


Dal profilo del New Yorker emergono tante altre cose, una su tutte afferma che Jeremy Strong sia così bravo ad interpretare Kendall perché sembra sia effettivamente come Kendall. Ma questa è un’altra storia e non sono qui per bullizzarlo.

La trama di Succession è concepita come una tela che invece di strecciarsi continua a piegarsi su sé stessa, in un continuo rimescolamento di personaggi. Forse, se vogliamo essere proprio pignoli, questo potrebbe cominciare ad essere un po’ un limite. Arrivati alla terza stagione, i temi portanti sono sempre quelli, il trono del vecchio tycoon è sempre in bilico ma non sembra mai così in pericolo, viene messo in crisi per poi tornare ai blocchi di partenza. Visto il finale di fuoco ed il cliffhanger della terza stagione, dalla quarta ed ultima è lecito aspettarsi qualcosa di più, ma sono sicuro che gli autori sapranno sconvolgerci per l’ennesima volta.

Per concludere. In un’epoca in cui la programmazione televisiva lotta nel somministrarci un senso di comfort per il solo scopo di creare dipendenza, promuovere messaggi edificanti mettendoci anche di fronte alla nostra miseria e povertà, Succession è l’unica che se ne frega e continua a farci vedere straricchi viziati, stronzi, teneri ed umanissimi. Come si fa a non venirne rapiti?

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Chief editor e Co-fondatore

Cresciuto a massicce dosi di cinema, fin da giovane età veniva costretto dal padre a maratone e maratone di Spaghetti-Western. Leggenda narra che la prima frase di senso compiuto che uscì dalla sua bocca fu: “Ehi, Biondo, lo sai di chi sei figlio tu? Sei figlio di una grandissima……” Con il passare del tempo si è evoluto a quello che è oggi: un cinefilo onnivoro appassionato di cinema in ogni sua forma che sia d’intrattenimento, d’autore o l’indie più estremo. Conteso da “Empire”, “The Hollywood Reporter”, “Rolling Stone”, ha scelto Jamovie perché, semplicemente, il migliore tra tutti.