Più noir che thriller con vaghe tinte erotiche, “Dove la terra trema” (Earthquake Bird) è basato sull’omonimo romanzo di Susanna Jones.
Misterioso oggetto di natura polanskiana, la pellicola gioca con le atmosfere nipponiche e l’intangibile psicologia dei personaggi.
Siamo a Tokyo nel 1989. La giovane inglese Lucy Fly (Alicia Vikander) lavora come traduttrice. Un giorno la ragazza si lascia fotografare da Teiji (Naoki Kobayashi), dopo poche settimane i due sono travolti da una relazione fisica ed emotiva totalizzante. Tutto cambia quando Lucy presenta a Teiji la bella Lily Bridges (Riley Keough). Tra i tre si instaura un ambiguo gioco di pulsioni sessuali e pericolose gelosie.
“Questo è quello che mi piace di più di questo posto, puoi avere un’altra chance”.
Frase che sembra quasi sottolineare un vago elemento autobiografico visto che il regista Wash Westmoreland è stato salvato dall’amore per la cultura giapponese che ha studiato studia all’Università di Fukuoka alla fine degli anni ’80 (proprio periodo in cui è ambientata la pellicola).
Strana carriera quella del regista inglese Wash Westmoreland che ha mosso i primi passi nella pornografia softgay negli anni ’90 per poi esordire nel 2006 con il bellissimo Non è peccato – La Quinceañera. Sette anni dopo il biopic di Errol Flynn The Last of Robin Hood con Kevin Kline e Dakota Fanning. Quindi sempre in coppia con il marito Richard Glatzer, fa vincere il premio Oscar a Julienne Moore con Still Alice. Dopo la prematura morte di Glatzer colpito da una fulminante Sla, il regista torna a dirigere un altro film biografico questa volta sulla vita della scrittrice francese Colette, interpretata da Keira Knightley.
Westmoreland si dimostra un talentuoso regista soprattutto per la sua capacità di valorizzare gli attori.
Alicia Vikander inquietante e algido “Earthquake Bird” , un po’ femme fatale e un po’ irrequieta creatura traumatizzata da un passato che viene svelato allo spettatore scena dopo scena . Quindi la bella Riley Keough, nipotina di Elvis che inizia ad avere una filmografia tanto bizzarra quanto promettente (Mad Max, American Honey, La casa di Jack).
Nel complesso il regista confeziona una pellicola tanto ambiziosa, quanto affascinante. Una storia fortemente allegorica che gioca con la bisettrice realtà/finzione, corpo/anima, vita/morte soggetto/fotografia.
(Spoiler Allet) Man mano che il film volge verso il finale questo dualismo sembra svanire. Le parti s’incrociano, la vita diventa morte e la fotografia sostituisce una sezione del tavolo dove ricostruisce la tragica sorte di Lily.
Nonostante alcune interessanti intuizioni stilistiche, la pellicola però lamenta una certa fragilità narrativa che si trasforma in confusione e in una verbosità eccessivamente esplicativa e didascalica.
Bello il lavoro sull’interior design perso nel rigore della tradizione nipponica, riesce a farci dimenticare che l’intera vicenda è ambientata negli anni ’80. Non fosse pochi frames di Black Rain di Ridley Scott (curiosamente tra i produttori di questo film).