Siamo campioni quando vinciamo l’ultima partita del torneo? O, forse, se portiamo a casa più punti? Se facciamo quel tiro decisivo? We Are Champions (下半場, Xiàbàn Cháng; Taiwan 2019) di Jung-Chi Chang ci trasporta sul campo da basket per coinvolgerci in una storia di riscatto e amore fraterno.
Hsiu-yu (Fandy Fan Shao Hsun) e Tung-hao (Berant Zhu Ting-Dian) sono due giovani fratelli che vivono in assenza del padre, il quale, rimasto solo dopo la scomparsa della moglie, è costretto a lavorare in luoghi lontani per mantenere i propri figli.
Hsiu-yu e Tung-hao, come tanti altri fratelli, si conoscono l’un l’altro, fanno gioco di squadra, si divertono e litigano. Fuori e dentro il campo da basket.
I ragazzi, pur discutendo spesso in modo animato, sono unitissimi e l’affetto che li lega sembra destinato a durare per sempre. Un giorno, però, le loro strade si dividono: la squadra favorita del campionato studentesco, la Juing, fa pressioni affinché Tung-hao si unisca al team ma rifiuta di prendere con sé anche Hsiu-yu a causa della sordità di quest’ultimo.
Pur dispiaciuto per il fratello, Tung-hao, che è determinato a realizzare il proprio sogno a ogni costo, decide di accettare la proposta della Juing. Hsiu-yu, giocando al ribasso, opta invece per la Kuang Cheng, disorganizzata squadra di una scuola superiore.
La Juing e la Kuang Cheng non potrebbero essere più diverse: altamente competitiva e incentrata su una disciplina para-militare, la prima; basata sulla solidarietà e il gioco di squadra, la seconda. Nonostante i pronostici infausti per la Kuang Cheng – destinata peraltro a sciogliersi l’anno successivo –, entrambe le squadre arrivano in finale. L’ultima partita, che vedrà scontrarsi proprio i due fratelli, sarà quella decisiva non solo per il futuro dei team, ma anche per la possibilità di riscatto sociale dei giovani. Che cosa succede nel momento in cui due fratelli diventano nemici sul campo?
In We Are Champions ogni movimento avvince lo spettatore e lo porta dentro la scena. Niente è lasciato al caso e tutto fila liscio come una partita terminata 124-12. Il montaggio è la punta di diamante di questo prodotto che nulla ha da invidiare ai suoi concorrenti occidentali.
Si tratta di una delle più realistiche rappresentazioni di uno sport sul grande schermo che si siano mai viste.
Funziona inoltre l’ottimo equilibrio tra il dentro e il fuori dal campo, in un difficile – ma riuscitissimo – funambolismo.
Ottimi la regia e la fotografia, oltre alle musiche e ai costumi curati nei minimi dettagli (a questo proposito citiamo le austere divise nere della Juing che già prefigurano il severo e metodico allenamento della squadra). Bravissimi i giovani attori protagonisti, capaci di destreggiarsi sia con la palla sia davanti alle telecamere.
Menzione d’onore per la sceneggiatura di We Are Champions: priva di buchi, alterna in modo sapiente i momenti di gioco ai retroscena in cui si chiarisce e illumina il rapporto tra i fratelli. I pochi dialoghi risultano significativi e con il giusto mix di serietà e ironia. I personaggi sono a tutto tondo, quasi uomini reali con cui è facile identificarsi o da cui prendere le distanze, e il loro sviluppo psicologico li rende ancora più credibili.
Grazie ai fratelli Hsiu-yu e Tung-hao impariamo che non sempre “vittoria” è sinonimo di “successo”. Esiste anche un diverso tipo di vincita: quando non permettiamo che gli ostacoli ci fermino, quando lasciamo da parte l’arrivismo, quando inseguiamo i valori più importanti, quando perdoniamo e accettiamo il perdono. A volte capiamo che l’amore fraterno conta più di tutto, persino dei propri sogni, persino più di se stessi. È in questi momenti che, pur nella sconfitta, siamo i veri campioni.