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La casa delle bambole – Ghostland, la recensione

Ghostland

Nessuno si aspettava di poter assistere all’arrivo nei cinema del nuovo horror di Pascal Laugier, La casa delle bambole (in originale Incident in a Ghostland).  Eppure, fortunatamente, è accaduto.

Martyrs non era mai approdato nelle sale italiane, per cui il regista francese s’era fatto conoscere al pubblico diversamente. Con il suo cult, infatti, proiettato al Festival Internazionale del film di Roma e distribuito in DVD solo nel 2009, Laugier si costruì un nome. Pur se il suo debutto fu  con il buon horror Saint Ange del 2005, fu Martyrs il suo trampolino di lancio.  Con Ghostland oggi, dimostra ancora una volta di essere uno dei registi più influenti di questo secolo.

Ghostland

Beth è una giovane ragazza che ambisce a diventare una famosa scrittrice. Amante dei racconti di Lovecraft e dell’orrore, Beth troverà pane per i suoi denti quando si trasferirà in una nuova casa. Sua madre Pauline, infatti, ha ereditato la vecchia villetta della defunta zia Clarissa (piena di inquietanti bambole da collezione).

L’atmosfera nell’abitazione è tetra, marcata, ma la paura arriverà più tardi, quando un misterioso furgoncino si fermerà di fronte alla casa.

Ghostland

Pur non essendo molto prolifico, il regista francese dimostra come prendersi il giusto tempo, possa portare a grandi cose. 

Ghostland è, infatti, giunto dopo ben sei anni di distanza dal predecessore I Bambini di Cold Rock.  Il nuovo home invasion di Pascal Laugier, pur essendo inferiore al film di culto che tanto ha portato il nome del regista in superficie (Martyrs), è eccedente rispetto alla componente più ”matura” della realizzazione. Certo, Martyrs è, a tutti gli effetti, un capolavoro del ventunesimo secolo. Ma Ghostland dal canto suo possiede la capacità di non sfigurare di fronte all’altro ”concorrente”.

Anche grazie a delle incredibili e convincenti interpreti, in particolare le prodigiose Crystal Reed e Taylor Hickson, ad una venusta fotografia e ad una regia ricercata, Ghostland conquista un posto in classifica tra i più eccellenti horror post-2000.

Ghostland

Per fare un buon film- indipendentemente dal genere in cui rientra- bisogna utilizzare con sapienza alcuni fattori. Laugier lo fa saggiamente, prendendo con maestria dettagli di altrui lavori e stilemi- un po’ Aja, un po’ Zombie, un po’ Hooper, un po’ Craven, un po’ Laugier stesso del passato- per poi combinare il tutto- inserendo anche un lieve accenno di metacinema- in un lavoro che spicca per autenticità ed eleganza. Eppure Ghostland oscilla vorticosamente tra più generi cinematografici- dall’horror al thriller, dal mystery al reparto psicologico- mostrando come sia difficile oggi, ma fattibile, creare un perfetto prodotto da etichettare non come film dell’orrore, ma come puro cinema. Difatti Laugier padroneggia le sue capacità in ambito tecnico e artistico, prendendosi gioco dello spettatore in un crescendo di suspense. Niente pause, niente boccate d’aria, ma continui périodes di tensione e reazione.

Ghostland non è un’opera bonaria o convenzionale, ma qualcosa di forte influsso che scava nelle memorie interiori e nei meandri della psiche umana. Ciò attraverso gli shock, azione e auto-difesa: la fuga e l’auto-rifugio.

Laugier ancora una volta s’è saputo distinguere nel panorama odierno, non per la storyline abbastanza originaria o per alcuni meccanismi calzanti e indicati, bensì per la messa in scena a cavallo tra il fisico malsano e il metafisico delirante, tanto da presentarsi e confermarsi come una delle opere più affascinanti degli ultimi anni.