I red carpet sono destinati a cambiare per sempre?
I festival del cinema non rappresentano solo un punto cardine per la promozione e l’esibizione dei titoli di punta della stagione cinematografica.
Questo tipo di eventi sono, al di fuori della facciata puramente cinefila, un aggregatore di tanti settori industriali.
La produzione e la distribuzione si incontrano nei mercati, spesso condotti in parallelo al festival dove si contrattano i diritti di sfruttamento del film.
L’esercizio cinematografico pianifica la stagione, stringe accordi e alleanze.
Ma non solo.
Nei più grandi festival, come la Mostra del cinema di Venezia o il Festival di Cannes (ma anche Toronto, Berlino, il Sundance…) convergono gli interessi di molti stakeholder.
Lo sforzo organizzativo viene sostenuto da sponsor, fondi di finanziamento, e dagli eventi collaterali.
Una delle ritualità più strettamente legate ai grandi eventi del mondo del cinema è il red carpet (il tappeto rosso).
Un momento che precede la proiezione del film presentato, o l’ingresso delle star nel Dolby Theatre prima degli Academy Awards.
L’origine del tappeto rosso è antica.
Il suo primo uso risale alle righe dell’Agamennone di Eschilo, nel 458 A.C.
Nell’opera il tappeto segnava con onore il percorso per il ritorno a casa dell’eroe.
Fino ad oggi il red carpet era sinonimo del bagno di folla delle star.
È il momento più glamour dei Festival, ma è anche il cuore pulsante del chiacchiericcio attorno a questi eventi.
Prima del coronavirus il tappeto rosso era il principale attrattore di folle di fan in attesa di poter strappare un autografo o una foto ai propri idoli.
Dopo la pandemia, ovviamente, le cose sono cambiate.
La Mostra del cinema di Venezia (lo ricordiamo, è stato il primo grande evento di cinema dopo lo scoppio dell’emergenza) ha mantenuto la tradizione, pur adottando misure e protocolli di sicurezza. Un alto muro separava le star dal pubblico.
All’interno i fotografi, opportunamente distanziati, scattavano le foto per riviste patinate, giornali e siti web.
Nel tappeto rosso il mondo del cinema e della cultura tocca e si intreccia con quello dell’alta moda.
Ma tutto sta cambiando, insieme alla percezione pubblica di questa ritualità.
I primi indizi risalgono all’anno scorso quando, sin occasione dell’avvio della stagione dei premi Joaquin Phoenix aveva annunciato che avrebbe indossato lo stesso capo per tutti gli eventi.
Una provocazione contro lo spreco, che rompeva un’antica tradizione di cambi d’abito anche più volte nella stessa giornata.
In un articolo dell’Hollywood Reporter sono stati intervistati diversi rappresentanti ed esponenti delle case di moda i quali hanno sottolineando un cambiamento radicale nella gestione dei red carpet da cui, secondo loro, difficilmente si tornerà indietro.
“Come si può giustificare uno show dei premi quando i bambini non possono andare nemmeno a scuola?” è uno dei pensieri comuni su cui si sta interrogando il settore della moda di lusso.
La percezione delle star da parte del pubblico, in tempo di pandemia, è completamente cambiato.
E la Mostra del Cinema di Venezia ne è stata la dimostrazione.
Sebbene da più parti sia concorde il plauso per come è stato gestito l’intero festival, e il momento del tappeto rosso, è anche vero che alcune star di Hollywood non si sentono a proprio agio con questo tipo di esposizione mediatica.
In un momento di crisi e di prudenza, il glamour rischia infatti di intaccare rovinosamente l’immagine dei divi.
In pochi sono disposti, comprensibilmente, a veicolare un messaggio così dissonante con la percezione attuale.
Il rischio è infatti quello di sottolineare con gli eventi mondani di lusso i privilegi della condizione di VIP.
Un red carpet tradizionale darebbe l’impressione di un mondo parallelo, che non sottostà né alle regole né percepisce il rischio allo stesso modo della gente comune.
Certo, c’è poco di vita vera su un tappeto rosso.
Ma non di meno è chiaro che, in tempi normali, questo tipo di luce dei riflettori è molto più accettabile e meno abbagliante di come apparirebbe oggi, in piena pandemia.
I brand di moda-lusso usano il red carpet per veicolare un’idea di sogno e ideale che porti valore al marchio, quasi alla pari delle sfilate di moda.
Nell’equilibrio della moda, la sfilata e i capi da sfilata rappresentano meno del 20% dei capi acquistati dai buyer.
Questo tipo di eventi servono a alle case di moda soprattutto per definire la propria identità e l’immagine da veicolare.
Sul red carpet vengono sempre presentati vestiti haute couture, quindi alta moda con capi con lavorazioni particolari, come è ovvio.
Il ritorno non è solo legato al vestito ma anche al talent scelto per veicolare il messaggio (brand ambassador legati per contratto, ma anche persone scelte per svecchiare o riposizionare il marchio).
Chi indossa il capo, con il suo carattere e il suo target di riferimento, orienta il brand.
Durante la Mostra del Cinema di Venezia anche Cate Blanchett ha seguito l’idea di Phoenix, ribellandosi alla tradizione.
Ha vestito più volte lo stesso capo durante le sue apparizioni pubbliche.
Un gesto apparentemente di poco conto, ma di grande significato interno al mondo della moda.
Ma non sono solo le star a iniziare (timidamente) un processo di reboot del red carpet.
In Italia le case di moda hanno subito un calo del fatturato del -28% in media nei 4 mesi di lockdown.
La pausa dai red carpet è stata così sfruttata per ottimizzare le energie su altre strategie promozionali.
Con molti retail store ancora chiusi in gran parte del mondo, e con una percezione delle disparità sociali radicalmente mutata, il mondo del fashion deve ricostruire la sua immagine.
La scrittrice e giornalista di moda Dana Thomas ha spiegato come la sua percezione fosse già da prima del Covid-19 quella di un cambiamento in atto.
Eravamo troppo vestiti, andavamo a troppi eventi e facevamo troppe fotografie.
Il red carpet potrebbe quindi cambiare per sempre, durante e dopo questo 2020.
Non tanto perchè siano mutate le condizioni in cui questa ritualità può realizzarsi, ma perché si è modificata radicalmente la percezione.
È cambiata la melodia, e la nota portante dei festival cinematografici, potrebbe suonare ora come quella stonata.