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End of Justice: Nessuno è innocente

“Lasciateci inveire contro la giustizia, ma non che essa ci distrugga.”

Bayard Rustin

Roman (Denzel Washington) è un avvocato delle cause perse, ormai al tramonto della sua carriera, un drop out anni ’60, in un goffo vestito da quattro soldi.

Nel suo modesto appartamento, ci sono solo vecchi meravigliosi vinili di black music e una foto di Bayard Rustin, celebre attivista afroamericano, protagonista dei movimenti per i diritti civili, che con sit-in improntati sulla non- nonviolenza, affrontò storiche battaglie per mettere fine alla segregazione razziale, le leggi Jim Crow e i diritti degli omosessuali negli States.

Un idolo insomma, fonte d’ispirazione per questo asso del foro, un po’ weird, ma uomo tutto d’un pezzo e con una memoria eidetica per il codice penale.

Quando però il suo mentore e socio dello studio dove ha lavorato per anni, improvvisamente entra in coma, Roman si trova solo con le sue idee, una perfetta conoscenza delle leggi, ma poca esperienza in aula giudiziaria. O forse quello che manca a Roman è un po’ di pelo sullo stomaco e un completo nuovo. L’anziano dinosauro, un po’ suonato dovrà dunque reinventarsi, adattandosi allo spietato e dinamico mondo giuridico 2.0, incarnato dal giovane rampante George Pierce (Colin Farrell).

La seconda prova dietro la macchina da presa di Dan Gilroy dopo “Lo sciacallo – Nightcrawler”, “Roman J. Israel, Esq” (inspiegabilmente tradotto con il generico “End of Justice – Nessuno è innocente”) è un pellicola sul mondo giudiziario americano, sulle sue incoerenze, ma soprattutto sul concetto di etica e sui valori morali che stanno dietro ognuno di noi.

Volendo partire dal punto di forza del film, non ci sono dubbi che la performance del veterano Denzel Washington, sia forse in una delle sue più esaltanti interpretazioni di sempre.

Anche l’argomento trattato dalla sceneggiatura dello stesso Gilroy è assolutamente lodevole e in diversi punti si avverte la sincera autenticità delle intenzioni dell’autore.

Purtroppo però, non è possibile ignorare la confusionaria messa in scena e il montaggio deficitario e completamente sballato del film, capaci di far annegare la narrazione in un bicchier d’acqua, come dice lo stesso personaggio di Colin Farrell. Per ragioni di produzione, il film infatti, è stato rimontato, spostando il climax e il suo sviluppo drammaturgico troppo a ridosso del finale. La totale mancanza di strutture coesive ha così dato il colpo di grazia ad una pellicola tanto intrigante quanto imperfetta.

Quel che resta è lo straordinario lavoro sugli attori, oltre a Denzel infatti, va segnalata anche la bravissima Carmen Ejogo che aveva già lavorato con Colin Farrell in “Pride and Glory” di Gavin O’Connor.

 

Esaltante anche la colonna sonora del film, che gioca elegantemente sul filo dell’extradiegetico, parlando con lo spettatore attraverso i testi delle canzoni e interagendo con esso grazie alle cuffie di Roman. Tra i mostri sacri coinvolti nella selection spiccano i nomi degli The Spinners, Bill Evans, Marvin Gaye, Funkadelic e Eddie Kendricks.

Ma riuscitissimo è l’uso della splendida “Time Has Come Today” dei The Chambers Brother, nella scena dell’inseguimento in auto.

Pellicola che va assolutamente vista, ma che lascia l’amaro in bocca e l’inconsolabile impressione di essere stata una colossale occasione persa.