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L’antologia sul senso di colpa: Southbound

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Le antologie horror ultimamente stanno andando veramente forte. Tornate in auge dopo gli anni 70’-80’ grazie a pellicole come la Trilogia “V/H/S”, negli ultimi anni sempre più spesso troviamo film strutturati in questa maniera : cinque o sei episodi, slegati l’uno dall’altro, con a volte uno di loro che serve da collante per tutta la pellicola.

I risultati ovviamente non sono sempre esaltanti, ma qualche gioiello lo si trova sempre. Ultimo esempio della famiglia del nuovo horror antologico americano è Southbound, pellicola che ha al suo interno ben cinque episodi, e che vede in cabina di regia un’esordiente, Roxanne Benjamin (produttrice qui alla sua prima regia), i Radio Silence, che avevano già girato un corto nel primo “V/H/S”, Patrick Hortvath (che dirigerà il sequel di “The Pact”) e David Bruckner, che qui in Southbound dirige l’episodio migliore.

Ogni episodio a differenza delle antologie precedenti comincia dove finisce quello precedente, facendo sembrare che le varie storie siano collegate tra loro ma senza un’effettivo legame tra l’una e l’altra.
In questa occasione inoltre viene abbandonato il “mockumentary” a scapito di riprese tradizionali, con ottimi effetti speciali, che sono forse l’elemento più positivo di tutta l’antologia, insieme alle musiche, e ad una presenza che però nel film possiamo solo sentire: Larry Fassenden, che in Southbound da solo voce ad un fantomatico DJ radiofonico che fa da collante ai vari episodi.

02 SouthboundNonostante ogni episodio non sia collegato al precedente, se non per i due che aprono e chiudono il film ( “The way Out” e “The Way in”) il tema che li accomuna è lo stesso, il senso di colpa.
Ognuno dei protagonisti delle storie ha qualcosa da farsi perdonare, qualcosa di sbagliato commesso in passato e che ora sta tornando a galla, a richiedere il suo tributo, che ovviamente, parlando di horror, è un tributo fatto di violenza, sangue e morte. E di sangue e di violenza in questa pellicola se ne vedono a quantità elevate, sempre però ben gestite dai vari registi che non hanno voluto puntare troppo e solamente sull’ effetto visivo, se non quando era strettamente necessario.

Sensi di colpa che tornano fuori sotto diverse forme: quella di alieni mostruosi che non possono essere distrutti, di ragazze che ricordano a noi stessi di aver abbandonato ( forse mandato a morire ) una nostra amica, quella di uomini mascherati che vengono a regolare dei conti.

L’episodio migliore è sicuramente quello di David Bruckner, intitolato “The accident”. Un uomo investe una povera ragazza, e dopo una breve esitazione prova in tutti i modi a salvarla, ma non sa proprio da dove cominciare. Ottimo episodio questo che utilizza una dose elevata di sangue e gore alla giusta maniera.
Gli altri episodi girano sempre intorno al tema principale del senso di colpa utilizzando delle sotto-tematiche tipiche degli horror degli ultimi anni : la setta demoniaca, il mostro alieno, e la vecchia cara home-invasion che non manca mai.

03 SputhboundIl tutto ( e qui il tema del senso di colpa ben ci si sposa) in un luogo dimenticato dal buon Dio Padre e da tutto il resto del mondo, non meglio specificato, con una sola e lunghissima strada principale che sembra non portare da nessuna parte, o forse solo e sempre dove si svolgono le varie storie.

E’ proprio il posto dimenticato da Dio che a volte ci sembra quello perfetto in cui rifugiarci dopo aver commesso un errore con cui non vogliamo avere più nulla a che fare, ma anche in culo al mondo, quello che abbiamo fatto può venire ancora una volta a trovarci, a prenderci, ed a richiedere il suo tributo, che può arrivare ad essere anche la nostra vita.

Unica pecca di questa antologia è che alcuni episodi lasciano più di una cosa in sospeso, che se da un lato da spazio all’immaginazione di ognuno di noi, dall’altro ti lascia con quella frustrazione per non essere sicuro di dove una certa situazione voglia andare a parare. La visione di Southbound è comunque consigliata, a maggior ragione se non si ha la presunzione di voler aspettarsi dalla pellicola l’horror della vita. Se prodotti come questo passassero più spesso nelle sale italiane, la qualità dell’horror proposto sarebbe senza dubbio migliore di quella attuale.



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Capo Redattore e Co-fondatore

Grande amante del cinema, e questo è scontato dirlo se sono qua :­) Appassionato da sempre del genere horror, di nicchia e non, e di film di vario genere con poca distribuzione, che molto spesso al contrario dei grandi blockbuster meriterebbero molto più spazio e considerazione; tutto ciò che proviene dalle multisale, nelle mie recensioni scordatevelo pure. Ma se amate quelle pellicole, italiane e non, che ogni anno riempono i festival di Berlino, Cannes, Venezia, Toronto, e dei festival minori, allora siete capitati nel posto giusto.

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