Nonostante la situazione Coronavirus in Italia stia evolvendo meglio che in altre nazioni, è bene ricordare che non è ancora il caso di abbassare la guardia.
Anzi.
Perché se c’è una cosa che il cinema ci ha insegnato spesso e volentieri è proprio questa: è un errore da non fare.
L’Inghilterra si ritrova invasa da “runner” affetti da una forma particolarmente virulenta di rabbia, passano 28 Settimane in cui la situazione torna, a fatica, sotto controllo e poi, per una disattenzione evitabilissima eccoci al punto di partenza.
In maniera abbastanza curiosa, uno studio effettuato dai ricercatori dell’Università di Chicago segnalato dal Guardian, afferma che la pandemia del nuovo Coronavirus viene affrontata meglio da una categoria ben specifica di persone: gli amanti del cinema apocalittico.
Di quei lungometraggi o prodotti di fiction in genere in cui, a causa di un qualche patogeno, il genere umano deve fare i conti con la fine, o quasi, dell’umanità stessa.
Coltan Scrivner, psicologo specializzato in “morbid curiosity” [ovvero l’interesse sviluppato in maniera non dannosa e patologica verso argomenti più o meno “macabri”, ndr.] presso l’Università della metropoli dell’Illinois, ha condotto uno studio su 310 volontari.
L’indagine si è basata, all’inizio, sulle preferenze cinematografiche e sullo “storico” di visioni di fiction per poi passare al domandare quanto si sentissero preparati al pensiero di dover fare i conti con la pandemia nonché i loro livelli di ansietà, depressione, irritabilità e insonnia.
I fan dei film horror sono sembrati meno angosciati dalla crisi rispetto agli altri, ma gli amanti dei film “prepper”, in cui la società collassa, sono risultati più resilienti e preparati, sia dal punto di vista mentale che pratico.
Secondo Scrivner ci sono diversi fattori in gioco. Un film come Contagion, la cui popolarità è esplosa durante la diffusione del nuovo Coronavirus, potrebbe aver reso la percezione di certi aspetti della pandemia, come la quarantena e la scarsità negli approvvigionamenti di alcuni beni, meno strana.
In effetti nella pellicola di Steven Soderbergh vengono anche affrontate tematiche, il distanziamento sociale, l’igiene delle mani, diventate ormai parte integrante della nostra quotidianità e svariati passaggi della pellicola (con le dovute semplificazioni richieste dalla narrazione) sono dedicati proprio al come un virus possa passare dagli animali all’uomo e poi da persona a persona.
Il tutto senza dimenticare la narrativa dei teorici del complotto e delle cure miracolose che “big pharma” terrebbe nascoste al genere umano.
Per il ricercatore, le persone sono attratte dai film apocalittici perché, secondo lui, offrono una “finestra sicura” da dove osservare come potrebbe essere il mondo in caso di crisi sociale:
Al prezzo di un brutto sogno di notte, puoi imparare come potrebbe apparire il mondo durante una pandemia.
È un po’ come quando giochi a “ce l’hai”.
Non è che stai lì a pensare ‘ecco quello che farò quando qualcuno m’insegue’, però stai effettivamente costruendo un sistema di conoscenze dalle quali potrai attingere in seguito, anche se si situano al di fuori della tua consapevolezza cosciente.
Se è un buon film che ti coinvolge e ti cali nella prospettiva dei personaggi stai già, involontariamente, provando gli scenari.
È come se le persone, a eccezione della carta igienica, abbiano imparato per procura e sapessero già cosa comprare.