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Un uomo da marciapiede: la Nouvelle Vague americana

Sospinto dal cinema europeo, dai cambi ai vertici delle major, dal contesto socio culturale e da altre ancor oggi inspiegabili ragioni, alla fine degli anni ’60 in America, nacque la New Hollywood. Parliamo di un gruppo di giovani autori, attori, registi e fotografi innamorati della Nouvelle Vague francese e decisi di cambiare le sorti del vecchio cinema americano, fiacco e in crisi di spettatori.

Questa nuova stagione cinematografica si presentò tematicamente complessa, formalmente innovativa e moralmente ambigua. Un approccio nuovo. Un cinema dalla parte dei perdenti, dei drop out, di chi protestava, di chi andava in guerra o ancor meglio dei reietti di quella società. Un cinema anti-establishment che trovò in Un uomo da marciapiede, uno dei suoi primi esempi. Opera seminale del regista inglese in trasferta John Schlesinger, Midnight Cowboy viene strutturato partendo dall’omonimo romanzo del 1965 di James Leo Herlihy.

A metterci mano diversi sceneggiatori fino a Waldo Salt, scelta definitiva di Schlesinger. Lo sceneggiatore era stato inserito nella lista nera negli anni ’50 dopo essersi rifiutato di testimoniare davanti al Comitato per le attività antiamericane della Camera. Vittima del maccartismo, in fuga da una vita e con voglia di rivalsa.

La storia è quella di Joe Bucker, un ragazzotto di provincia (John Voight) che spacciandosi per un vero cowboy, decide di recarsi a New York per fare il gigolò, a spese delle ricche donne di città. Ma l’unico che gli da spago (non dopo aver cercato di fregarlo) è un certo Enrico Salvatore Rizzo, soprannominato “Sozzo” o “Rico”, un povero immigrato italiano malato di tubercolosi (Dustin Hoffman).

I due insieme dovranno cercare di sfangarla e di superare il freddo inverno in attesa di avere soldi sufficienti per fuggire in Florida nelle calde spiagge di Miami Beach. Un po’ come sarà 15 anni dopo in Stranger Than Paradise per i protagonisti di Jarmush.

La New York di Midnight Cowboy non è quella di Holly Golightly che fa colazione sulla quinta strada davanti alle vetrine di Tiffany. Al contrario è una città rumorosa, indifferente e puttana. Una città che ti calpesta o ti scansa e ti mette in un angolo come con Joe e con Rico.

La miseria umana narrata dal film viene poi spesso intervallata da flashback sulla vita passata di Joe. Pare che Schlesinger, esausto e non soddisfatto dell’editing finale, convocò Jim Clark, come consulente creativo. Clark ebbe l’idea di questa alternanza espressionista tra la realtà livida e il passato in b/n di Joe. Tutto febbrile, isterico, non convenzionale. A Clark si deve anche la scelta di Everybody’s Talkin’ nella colonna sonora del film. Lay, Lady, Lay di Bob Dylan era la prima scelta, ma non venne registrata in tempo e al suo posto venne inserita la celebre canzone scritta Fred Neil e cantata da Harry Nilsson già voce di Coconut per Le Iene di Tarantino e l’ossessiva Gotta Get Up nella serie cult Russian Doll.

Ma Everybody’s Talkin è anche un marchio di riconoscibilità del film. Poche note e la memoria visiva di ogni cinefilo per le strade di NY.

A tal proposito poi ci sono gli attori. Per Hoffman non fu una scelta scontata, dopo la fama appena raggiunta con Il Laureato e l’immagine da bravo ragazzo da difendere. Fu proprio Mike Nichols a sconsigliargli Midnight Cowboy. Per fortuna le cose andarono diversamente. Quanto a John Voight, l’attore era pressoché sconosciuto e a perorare la sua causa, ci pensò Marion Dougherty, casting dall’occhio lungo che aveva già lanciato nel firmamento di Hollywood diverse star.

Curiosamente nel cast del film appaiono anche numerosi attori e artisti vicini alla Factory di Warhol. Tra loro Janet Susan, Mary Hoffman meglio nota come Viva, Isabelle Collin Dufresne (Ultra Violet). Ma da segnalare anche le prove di Brenda Vaccaro e Sylvia Miles.

Midnight Cowboy, all’epoca X-rating (l’attuale NC-17) venne boicottato dalle sale, mentre oggi è considerato tra i cardini del cinema americano tanto da essere preservato nel National Film Registry della Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti.

Era un cinema nuovo ed anarchico, realizzato per una generazione disincantata dall’élite dominante e meno incline a conformarsi agli stereotipi culturali della vecchia America.

Punto di riferimento per una stagione memorabile che ebbe fine quando Cimino sperperò un patrimonio con I Cancelli del cielo, facendo fallire una major. Ma soprattutto quando Spielberg con Lo Squalo dimostrò che si poteva far buon cinema e anche guadagnare tanti dollari. Gli autori persero il final cut e i soldi, dando inizio alla stagione dei blockbuster.