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TFF36: Papi Chulo – La Recensione

Bisogna ricordare che Los Angeles non è solo Hollywood.
La capitale mondiale dell’industria cinematografica è una città in cui convivono diverse società, e quando le loro culture, a volte agli antipodi, si incrociano, si creano situazioni umane emblematiche, bizzarre, ma anche drammatiche.
È quello che accade in Papi Chulo, terzo lungometraggio del regista irlandese John Butler, presentato alla 36. edizione del Torino Film Festival.

 

Il regista, infatti, non si fa scrupolo di prendere a riferimento qualche stereotipo sui gay e sui latino-americani per costruire la storia di un’amicizia, quanto mai singolare e improbabile, ma vivida e fertile.
I protagonisti sono due personaggi a loro modo solitari: Sean è un presentatore del meteo che non riesce ad andare avanti dopo l’abbandono da parte del suo compagno.
Ernesto è un operaio messicano che a Los Angeles cerca di sbarcare il lunario con lavoretti occasionali.
Il loro incontro – dovuto al terrazzo da ridipingere – cambierà le loro solitudini e abitudini.

In America i film come questo li chiamano feel good movies, film che fanno stare bene: definizione appropriata.
Proprio Butler in un’intervista definisce il suo film a breath of fresh air (una boccata d’aria buona) per il tono comico che ha in parte.
Però come si nota verso la metà del film non appartiene solo alla sfera comedy ma ha una fortissima componente drammatica.

Matt Bomer è il protagonista della pellicola, e se la cava egregiamente, mostrando una buona maturità artistica.
Forse un po’ troppo cartoonesco in alcuni passaggi, ma riesce a gestire bene i momenti di sofferenza, i quali appaiono davvero forti, in contrapposizione al resto della pellicola.
Alejandro Patino interpreta Ernesto e, sebbene i momenti di libertà artistica siano pochi, ci accorgiamo che è in grado di celare una sensibilità emozionante.

Papi Chulo è un dramedy toccante e prezioso, un feel good movies con qualcosa in più.

Articolo a cura di Federica Gandolfo