Chimera (Braid) di Mitzi Peirone è un vero labirinto onirico.
Un sogno, un incubo malsano, strano e diverso.
Due amiche, Petula (Imogen Waterhouse) e Tilda (Sarah Hay), spacciano droga per guadagnare, ma una retata della polizia stravolge tutto e scappano lasciando tutta la droga nell’appartamento.
Coco, il loro capo, vuole indietro tutti i soldi non guadagnati. Hanno 48 ore.
Si ricordano di Daphne (Madeline Brewer) la loro amica d’infanzia: ricca, sola, instabile psicologicamente.
Ha una cassaforte nascosta, la loro salvezza per saldare il debito.
Quale sarà il loro prezzo da pagare per salvarsi? Riusciranno a rimanere lucide in un luogo dove regna l’instabilità?
Quando erano bambine giocavano all’ “ospedale” un gioco di ruolo che ha tre regole ben precise da rispettare :
-regola numero 1 tutti devono giocare;
-regola numero 2 non sono ammessi estranei;
-regola numero 3 nessuno se ne va.
In cui Daphne è la mamma, Tilda la figlia e Petula il dottore che le deve
visitare.
Obbedire sempre, a qualsiasi costo.
Il detective (Scott Cohen) indaga il ritorno delle fuggitive, un altro giocatore o l’ estraneo che non può giocare?
È teatrale con Petula nel bagno che ricorda Il Barbiere di Siviglia”, delicato, violento, ma anche profondo.
I colori come rosa, viola, verde, bianco fanno da sfondo alle loro emozioni, ai loro desideri, incubi, sogni, speranze.
Immaginazione e realtà, realtà e immaginazione, in un modo così veloce da confondere lo spettatore tanto da non saper distinguere cosa sia vero e cosa no.
Daphne all’apparenza è innocente e felice perché può giocare di nuovo con le sue amiche all’ ospedale, il suo gioco preferito che con il passare degli anni diventa malsano e violento.
Non vediamo l’ora di crescere, diventare grandi.
Vogliamo sentirci invincibili
e adulti, dimenticandoci che quando siamo piccoli, puri, senza malizia, il tempo sembra infinito, nessuna preoccupazione, o come in questo caso con un debito di droga da pagare.