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Caniba – La recensione

Poteva essere quel film che avrebbe mandato in bagno più di uno spettatore che sarebbe sicuramente rimasto scioccato da alcune delle immagini della pellicola ed anche da quello che veniva raccontato.
Ma non vi aspettate questo da Caniba, film diretto dal duo di registi / documentaristi Verena Paravel e Lucien Castaing-Taylor e presentato a Venezia74 nella sezione Orizzonti.

Si perchè non è il solito film che deve smuovere gli stomaci degli spettatori, che deve far svenire quanta più gente possibile. Caniba cattura lo stomaco si, ma lo fa passando dalla testa, dal disgusto per quello che lo spettatore capisce che è successo quando viene raccontata la storia del suo protagonista.
Il docu-film è infatti la storia di Issei Sagawa, un giapponese che nel lontano 1981, in quel di Parigi, uccise una sua compagna di studi e ne mangiò parte del corpo.
Non famoso come il dottor Hannibal Lecter, non americano come il biondo di Milwaukee Jeffrey Dahmer, ma pur sempre un cannibale.
Un cannibale che riconosciuto come instabile mentalmente è tornato nel suo paese di origine.
E tutt’oggi vive libero a Kobe con il fratello che si prende cura di lui.

Il mostro

I due registi ripercorrono tramite una serie di piani sequenza l’intervista al killer che oggi è poco più di un vegetale.
Attraverso i suoi ricordi riviviamo il brutale assassino di cui Sagawa si è macchiato.
La brutalità delle sue gesta e i pensieri che dimorano nella sua mente malata.
Quelle scene crude e sanguinolente che ci saremmo aspettati saranno però sostituiti da continui piano sequenza che ci mostrano parzialmente il volto dell’assassino, il suo corpo ormai vecchio, inerme, debole.
Mai chiaramente però.
Quasi a voler tenere il mostro dietro una tenda che ne celi il suo vero volto.
Ed allora a spaventare non è la sua figura, ma le sue gesta, da lui e dal fratello raccontate.

La regista Verena Paravel

Ed un libro.
Fatto a fumetti, in cui l’assassino ha riportato minuziosamente tutto ciò che di macabro ha compiuto e tutto il male che si cela nella sua mente.
Non è una scelta che molti condivideranno quest dei due registi.
Per alcuni tratti la modalità di ripresa infastidisce e non poco.
E’ questa la sfida dei due registi a chi, come il sottoscritto, si aspettava invece scene molto più cariche e forti.
E invece no, non una goccia di liquido rosso, tempi morti, pause infinite, e continui e lunghi primi piani della faccia del mostro.
O meglio, parte della sua faccia.

Vediamo un po’ in quanti, il giorno che il film uscirà in Italia, accoglieranno la stessa sfida.
La pellicola ha ottenuto il Premio Speciale al Lido per la categoria Orizzonti.

 

ARTICOLO A CURA DI ELISA FIORENZUOLA