Il titolo del film trae spunto da un quadro proprio di Vincent Van Gogh.
La gabbia di cui si parla è quella dell’irrequietezza e del tormento che attraversa la vita del pittore olandese.
Per Van Gogh la pittura era vitale.
Egli stesso dichiara che non avrebbe potuto fare altro nella sua breve ma intensa esistenza dipinge un numero impressionante di opere.
Il regista, che nella realtà è un pittore prestato al cinema, aveva già infatti diretto il biopic sull’artista Michel Basquiat, tenta di cogliere, senza riuscirci, questa ineluttabile spinta spirituale interiore che è sicuramente la sua geniale qualità, ma è al tempo stesso una chiusura verso la realtà è quindi la sua condanna.
Purtroppo la narrazione risulta un po’ didascalica .
La storia quindi scorre un po’ noiosa anche se sia la fotografia che l’interpretazione risultino all’altezza.
Non aggiunge e non toglie nulla a quello che in altre pellicole che parlano di Van Gogh siamo state dette.
Insomma molto rumore per nulla.