Home Rubriche InstaCult Vampiri anticlericali: Fantasie di una tredicenne di Jaromil Jireš (1970)

Vampiri anticlericali: Fantasie di una tredicenne di Jaromil Jireš (1970)

Su internet spesso si fa ironia sulle scarsissime qualità dell’Italia di adattare titoli di film esteri. L’esempio più, giustamente, citato e deriso è quello di Eternal sushine of a spotless mind, il quale, titolo colto e raffinato, viene reso con Se mi lasci ti cancello, che lo fa sembrare una commediola romantica da quattro soldi. Questa tragica tendenza di quasi ridicolizzare degli ottimi titoli colpì, nel 1970 anche Valerie a týden divu di Jaromil Jireš, che nella sua versione italiana lo fa sembrare un film per pedofili, Fantasie di una tredicenne, mentre la sua traduzione letterale sarebbe “Valerie e la settimana delle meraviglie”. Questo film è una delle pietre miliari della Novà vlna, la Nouvelle vague cecoslovacca, e fonde, nei suoi 80 minuti circa, il dramma all’horror gotico di stampo vampiresco e, di conseguenza, durante la visione del film non possono non tornare alla mente capolavori del genere come Nosferatu di Friedrich Wilhelm Murnau.

La storia, che, a causa dell’intervento della censura, risulta essere estremamente confusa, è quella della giovane Valerie, una ragazzina tredicenne che abita con la nonna Elsa e che, con l’arrivo del menarca, vive una settimana inquietante, infestata da vampiri e segnata dal risveglio della sua sessualità. La sua unica salvezza, in questa bizzarra avventura, sono un paio di orecchini ereditati dai genitori, la cui scomparsa è avvolta nel mistero. Valerie è circondata da loschi personaggi, che sia un prete dalla libido invadente, un altro uomo di chiesa dalla strana carnagione, Conestabile, che è anche il padrone di un amico di Valerie, Orlik, o una giovane ragazza, Hedvika, che sposa un proprietario terriero assai più anziano di lei.

La tredicenne Valerie.

In Fantasie di una tredicenne, l’unità spazio-tempo viene completamente scardinata. Il tempo della rappresentazione scorre rapido, grazie al buon ritmo del film, ma il tempo della narrazione fluisce singhiozzante e si avvolge su sé stesso, così come l’unità spaziale crolla sotto i colpi illogici di una trama incoerente con sé stessa ma, proprio per questo, estremamente potente. Non è raro vedere personaggi morire e riapparire dopo poco vivi e vegeti, senza un perché, senza una spiegazione. O, ancora, vediamo, in una scena della prima parte del film, Orlik nascondere Valerie e dire al suo padrone che la ragazza si trova in una torre dalla quale la vediamo uscire pochi secondi dopo. Buchi apparenti di trama che giovano alla costruzione di quell’atmosfera sognante che domina il film, grazie anche alla fotografia molto luminosa, dai colori pastello accesi, quasi accecanti, a volte. D’altronde, lo stesso Sigmund Freud disse che il sogno non sottosta alle regole della continuità logica della realtà: “Il sogno è incoerente, riunisce senza esitazione le più grosse contraddizioni, ammette cose impossibili, trascura le nostre cognizioni, così importanti durante il giorno, ci fa apparire eticamente e moralmente ottusi”. Fantasie di una tredicenne è, probabilmente, uno dei pochissimi casi in cui l’intervento della censura non ha penalizzato il risultato finale dell’opera ma, anzi, ne ha aumentato la potenza espressiva, rendendo l’opera difficilmente dimenticabile.

Tuttavia, quando uscì, nel 1970, la censura cecoslovacca non apportò alcun taglio, grazie alla natura del film. Fantasie di una tredicenne, infatti, è un feroce attacco alla religione e al clero, suscitando le simpatie del regime comunista della Cecoslovacchia di quel periodo. Non a caso i personaggi negativi di questo film sono credenti o legati all’universo religioso: il prete che molesta Valerie per poi accusarla di stregoneria; la nonna Elsa, fortemente credente; il Conestabile/Vescovo. E il tema del vampirismo è perfettamente accostabile alla critica religiosa, descrivendo il mondo della fede come dominato da una logica dello sfruttamento del credente, dal quale il clero (e, per estensione, Dio) esige rispetto e danaro, dal quale il clero pretende la totale devozione, privandolo della propria esistenza terrena, con la promessa di un bene superiore postumo. Il credente rifiuta di vivere nell’Aldiqua spendendo la propria esistenza nella costruzione di una falsa speranza di una vita nell’Aldilà, in Paradiso. In questo senso, è un film piuttosto assimilabile all’aspra critica alla religione di Friedrich Nietzsche.

Gli effetti dell’ipocrisia clericale: la stregoneria.

Parlare di estetica di questo film è superfluo, poiché la qualità visiva di quest’opera d’arte risulterebbe essere ridondante. Una regia raffinata ed elegante, abbinata alla fotografia onirica di Jan Curìk e alle scenografie ricche e fantastiche, rende questo film un capolavoro intramontabile, una di quelle pellicole sconosciute ai più che andrebbero riscoperte e, perché no, sfruttate per introdursi nel mondo di un modo di fare cinema diverso da quello al quale si è abituati, in questo caso nel mondo della Novà vlna.