Shin Godzilla è un filmone. Voglio mettere subito in chiaro questa cosa. E’ un filmone che, però, ha un handicap riguardante la distribuzione: viene proiettato in poche sale e per soli tre giorni. Questa volta, però, non c’è da biasimare la distribuzione italiana, poiché anche negli Stati Uniti, per esempio, ha avuto un breve periodo di proiezione (seppur più lungo che qui da noi). Un filmone, dicevamo. Dopo quest’opera, i monster/disaster movies avranno un nuovo standard a cui attenersi, l’asticella di questo genere si è alzata di parecchio e sarà difficile replicare la qualità del film di Hideaki Anno, che ne ha curato sia la sceneggiatura che la regia, coadiuvato da Shinji Higuchi.
Andando in sala a vedere un film su Godzilla, lo spettatore potrebbe aspettarsi di vedere una pellicola densa di azione, ricca di sequenze adrenaliniche ed entusiasmanti. Beh, così non è. La maggior parte della storia si svolge all’interno dell’ufficio del Primo Ministro giapponese e dei suoi collaboratori, che si perdono in chiacchiere mentre Tokyo e altre città vengono distrutte da questa creatura misteriosa. Il protagonista del film non è il mostro, come sarebbe normale pensare, ma la classe dirigente giapponese, i politici, gli uomini di potere. L’azione ricopre un ruolo secondario, essendo il film ricchissimo di dialoghi di carattere politico e scientifico. “Che noia” penserà chi non l’ha visto, a sentirne parlare così. Ma non è affatto un film noioso. Godzilla assurge a simbolo non più degli orrori del nucleare (come era stato inizialmente concepito, negli anni ’50) ma di una natura che si ribella all’abuso dell’uomo, che si ritrova inizialmente impotente di fronte alla stazza mastodontica di questo essere che continua a trasformarsi, diventando sempre più grosso, più potente e, quindi, più temibile.
La computer grafica di questo film è, specialmente nella prima parte del film, estremamente posticcia e credo che ciò sia una scelta del duo Anno-Higuchi (quest’ultimo si è occupato proprio degli effetti speciali), per restituire quel sapore “trash”, inteso nel senso più positivo possibile, che era proprio dei primi film della saga di Godzilla. Soprattutto la prima forma del mostro è al limite del ridicolo, con gli occhi da pesce lesso che fanno quasi tenerezza. Ma quando poi il lucertolone si trasforma, il suo design e la grafica computerizzata riescono a trasmettere alla perfezione il senso di minaccia e pericolo che Gojira (questo il nome giapponese del mostro) emana. In particolare, la sua forma finale è puro spettacolo per gli occhi, con degli inserti luminosi prima rossi e poi biancastri e violacei che lasciano lo spettatore a bocca aperta. Il suo volto rabbioso, le fauci appuntite, la pelle quasi rocciosa, tutto nel design di Godzilla è votato a incutere timore tanto nei personaggi del film quanto nelle persone sedute in sala a vederlo.
La regia ha dei momenti altissimi, soprattutto nelle sequenze più concitate, in cui il montaggio è spesso rapido, e riesce a restituire allo spettatore l’agitazione e la paura del popolo di Tokyo e dell’esercito, alternando inquadrature ravvicinate, con dettagli di Godzilla, delle strutture distrutte e della gente che scappa, a campi lunghi e lunghissimi in cui la desolazione e la distruzione che il mostro lascia alle spalle la fa fanno da padroni. Nelle scene ambientate negli uffici del Primo Ministro e nelle sale riunioni, invece, la camera di Anno e di Higuchi cerca spesso dei punti macchina particolari, che talvolta funzionano bene, talaltra risultano poco efficienti (un paio di esempi: la “soggettiva” di un computer, la camera posta su una scrivania e coperta da dei fogli). Interessante la scelta di utilizzare delle lenti grandangolari per i primi piani, deformando i volti e lo spazio in cui i personaggi agiscono, facendoli risultare quasi sgradevoli, come estremamente sgradevole è la situazione che stanno vivendo. Molto spesso, la coppia di registi ha deciso di far guardare i propri attori dritti in camera, infrangendo la quarta parete, grande taboo del cinema, soprattutto quando importanti decisioni devono essere prese oppure quando i personaggi lanciano delle frecciatine agli Stati Uniti, tirando in ballo lo spettatore che, se da una parte si sente violato e privato del proprio voyeurismo, che è caratteristica principale del fruitore cinematografico, dall’altra si sente coinvolto nel processo decisionale e strategico.
La colonna sonora è molto varia e spazia dal tema classico dei film di Godzilla a sezioni strumentali a canzoni hard rock e rappresenta alla perfezione la grande varietà del film, che non risulta mai noioso. Le parti più sinfoniche e classiche potrebbero piacere molto soprattutto ai videogiocatori e, in particolare, agli amanti della saga di Final Fantasy: infatti, alcuni temi ricordano molto lo stile di Nobuo Uematsu e sembrano poter calzare alla perfezione in alcuni capitoli della saga videoludica di Square Enix (per quanto mi riguarda, mi ha riportato alla mente il VII e il IX). Non a caso, Shiro Sagisu, che ha composto le musiche del film, ha curato gli arrangiamenti per un titolo della saga per Game Boy (Final Fantasy IV Grand Finale), nonché le colonne sonore di diversi anime come Berserk e Neon Genesis Evangelion, quest’ultimo creato e diretto proprio da Anno.
In conclusione, Shin Godzilla è un film capace di accontentare chiunque, tanto gli amanti dei monster/disaster movies, quanto quelli che non li apprezzano molto (come il sottoscritto). Essendo un film molto vario e fatto estremamente bene, riesce a colpire e coinvolgere chiunque e, infatti, finito il film, non ho sentito nessun parere negativo tra i presenti in sala, rimasti tutti affascinati ed estremamente soddisfatti. Io stesso, dopo averlo visto, ho passato il resto della sera molto eccitato dalla visione e ho dovuto far passare un giorno prima di scrivere questa recensione, per cercare di essere il più imparziale possibile. Detto ciò, Shin Godzilla può essere anche un’ottima occasione, per gli amanti del cinema ma non solo, per recuperare anche tutti i (molti, a dire la verità) vecchi film della saga, sia quelli giapponesi che quelli americani.