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Shanda’s River di Marco Rosson- La recensione

Shanda's River

Quando un film horror italiano, soprattutto se prodotto a livello indipendente e realizzato al giorno d’oggi (in cui elevarsi nel settore per far emergere un particolare tipo di cinema che nel nostro paese pare esser quasi dimenticato, fatta eccezione per alcuni casi, è sempre più di difficile realizzo), raggiunge ottime vette e fa quel che un horror dovrebbe fare, non si può far altro che affermarlo con compiacimento.

Questo è il caso di Shanda’s River del regista vogherese Marco Rosson, secondo lungometraggio da lui realizzato dopo New Order con Franco Nero.

Shanda's River

Shanda’s River pone l’attenzione su una suggestiva storia di stregoneria ed esecuzione ambientata nel paese di Voghera. L’omicidio di una donna di nome Shanda, avvenuto nel 19esimo secolo, è il fulcro su cui si basa la narrazione. Shanda (la bella Marcella Braga) è la presunta strega del luogo, protagonista della leggenda tramandata dal primo ‘800. Una sveglia professoressa americana di nome Emma (la versata Margherita Remotti) si reca a Voghera per studiare il mito di Shanda.

Il viaggio compiuto si rivelerà però insoddisfacente a livello lavorativo, ma totalmente inaspettato a livello emozionale. Emma viene, difatti, catapultata in un loop temporale, apparentemente senza via d’uscita.

Shanda's River

Scritto da Nicola Pizzi, prodotto da Giorgio Ettore Galbiati e diretto da Rosson, Shanda’s River è un film oltremodo coraggioso. L’intento è quello di voler arrivare ovunque, portando con orgoglio non solo una storia narrata e messa in scena con passione, ma anche le proprie radici italiche. Ciò è ancor più possibile grazie al metodo di comunicazione verbale, che qui avviene- piacevolmente- attraverso l’utilizzo dell’idioma di base della globalizzazione: l’inglese.

Tale espediente è servito per la partecipazione a molteplici festival, per cui Shanda’s River ha vinto ben 23 premi in tutto il mondo. Vanno menzionati il trionfo come Best Horror e del Tabloid Witch Award come miglior colonna sonora e miglior montaggio al Los Angeles Film Award.

Shanda's River

Tali riconoscimenti, c’è da dirlo, son pure meritati.

Le musiche di Mauro Crivelli sono conturbanti e raffinate, la recitazione è più che soddisfacente (menzione particolare per la protagonista e Diego Runko), mentre la fotografia risulta incantatrice e inconsueta per un horror indipendente italiano degli ultimi anni. Seppur vi siano particolari leggermente sottotono (alcune cadute nelle reazioni dei personaggi e soluzioni narrative verso la parte conclusiva, oltre qualche scelta stilistica qua e là), l’intreccio è così particolare da passarci su, soprattutto grazie all’interessante uso dell’ossessivo anello temporale.

L’intento di omaggiare i grandi registi nostrani del passato è prepotente e ottiene l’esito sperato. Si può respirare l’Argento dei tempi d’oro, il Bava più spaventoso e facinoroso, fino al Fulci più marcio e brutale che si possa rammentare. Per cui quasi non si percepisce il low budget di 7500 euro alle spalle, o la ridotta durata delle riprese (giusto 9 giorni).

Shanda’s River è un’opera che non si frena di fronte a nulla. Questo Rosson lo dimostra sapientemente, allestendo nudi (quasi) integrali, scene di sesso e sacrifici umani ed efficaci sbudellamenti gratuiti, e portando in risalto una sensibilità che appartiene solo al cinema europeo, per cui esprime tanto amore.