Un piccolo, grande, capolavoro.
Di un maestro del cinema come Gaspar Noè, che molti appassionati del settore e non solo conoscono bene.
Questa sua pellicola del 1998, Seul contre tous, è il sequel di un suo cortometraggio.
Stiamo parlando di Carne, del 1991, relativo alla storia di un ex macellaio che dopo essere uscito di prigione nel 1980, cerca una sua personale vendetta, contro il mondo intero.
Un mondo che considera ormai irrimediabilmente corrotto e senza speranza.
L’uomo però ha una figlia, da qualche parte, Cynthia, che potrebbe ancora essere una sua ultima speranza che il mondo stesso, possa non essere tutto crudele.
O forse no.
La pellicola di Noè è un viaggio nella mente di un uomo che ormai ha perso qualsiasi speranza.
Che è arrabbiatissimo con sè stesso e con il mondo.
Un uomo che ha ancora poco nulla da perdere, e che crede che nella vita non ci sia più un briciolo di bontà, di speranza, di possibilità che il mondo possa essere migliore.
Fin dove può spingersi una persona del genere?
Cosa c’è nella testa di una persona che non vede futuro, relegata ai margini della società, un po’ per colpe sue, un po’ per colpe della società stessa?
In questo ci immerge Noè nel suo film, aiutato dalla straordinaria interpretazione di Philippe Nahon e dai pensieri che il regista gli mette in testa.
Si perchè l’attore parla molto poco.
Dialoghi quasi non ce ne sono in questa pellicola, che per il 90% parla tramite una voce fuori campo.
Quella del macellaio ovviamente, rendendoci partecipi dei pensieri dell’uomo, delle sue ultime volontà, dei suoi possibili progetti futuri, della disperazione e dell’apatia cui sta andando incontro.
Fino al suo gesto finale, che è la parte più incredibile di tutta la pellicola.
Si perchè per quasi tutta la storia Noè ci incanala verso una possibile fine, verso una sua possibile teoria di quale sia l’ultimo gesto che un uomo delle stesse condizioni del macellaio può compiere.
Ma grazie a tutto l’articolato ragionamento che lui stesso fa durante il film, arriviamo alla formulazione di una nuova teoria, di un nuovo pensiero.
Qualcosa di più angosciante sicuramente per noi, ma ritenuto giusto e possibile dal protagonista.
Un qualcosa che smuove il nostro stomaco in maniera incredibile, e molto di più di quanto già tanto faccia il resto della pellicola.
Un continuo fluire di pensieri, volontà, desideri, false speranze, un ragionamento continuo, fissazioni, paranoie, idee che cambiano e si modificano secondo dopo secondo. Siamo in uno spazio così piccolo, la testa del macellaio.
Tuttavia la sensazione è quella di essere in un oceano fatto di nichilismo, pessimismo, fine, vendetta, rabbia.
Una rabbia che sfocia anche nel sangue durante la pellicola, con scene alquanto disturbanti.
Ma mai disturbanti come il senso intero dell’opera e mai disturbanti come la soluzione che il protagonista sceglie.
Noè forse non vuole giudicare la scelta dell’uomo, vuole mostrarci un’altrernativa a questo stato di frustrazione e rabbia.
E consegna al personaggio principale le possibili giustificazioni del suo folle e disturbante gesto, non chiedendo direttamente a noi spettatori se questo sia giusto, sbagliato, malato, sensato.
E’ così, perchè l’uomo la trova in quel momento l’unica via da seguire.
La pellicola è divisa in atti, ognuno con un titolo, i dialoghi (che per la maggior parte del film sono i pensieri dell’uomo) sono incredibili e molto coinvolgenti e ben strutturati, solidi, mai banali.
Diverse modalità di ripresa, (campi lunghi, primi piani, la macchina che segue il protagonista di spalle, di fronte, piani sequenza) molto in tema con il terremoto presente nella testa dell’uomo.
Musiche che aumentano ancora di più il senso di disagio che egli prova per la sua situazione, e che noi proviamo guardando la pellicola e cercando di entrare in sintonia e nella stessa lunghezza d’onda di questo ex macellaio.
Ogni scena comincia con una tecnica ben precisa.
Zoom e arresto dell’immagine, poi un forte suono improvviso.
Un grande bang, che almeno per le prime volte ci fa saltare dalla sedia, anche se non siamo di fronte ad un film horror.
Il sesso è visto in modo violento, negativo, distorto, malato.
Un po’ come lo vedono i Greci nelle loro ultime pellicole, seppur con fini e motivazioni diverse.
Ma questo sesso non ci piace, nemmeno un po’.
Macellaio.
Carne, fame, fame per i soldi, che non ci sono e con cui quindi non si più comprare nemmeno un boccone.
Fame di amore, un amore di cui l’uomo ha mestamente bisogno, ma di cui il protagonista ha una visione un po’ distorta, malata, anomala, insolita.
O forse no, forse non è così differente da quella standard, seguendo il suo ingarbugliato ragionamento.
Questo fa davvero paura. Forse vero amore c’è in lui, forse il problema è che ce n’è davvero troppo.
La figura dell’ex macellaio ricorda in parte quella di Travis Bickle, del famosissimo Taxi Driver di Scorsese.
Ma qui forse l’atmosfera è più angosciante, più claustrofobica.
Perchè sembra proprio non ci sia una minima speranza.
Per l’uomo, e per il mondo intero.
E quella piccola luce che vediamo, o che forse potrebbe esserci, non è così accecante da seguirla.
O forse lo è anche troppo per poterla seguire.
Il film, che ha avuto un parto ed una gestazione molto travagliata, (sono occorsi cinque anni a Noè per poterlo realizzare, ed i soldi a disposizione furono molto molto pochi), è stato presentato nella Settimana Internazionale della Critica del 51º Festival di Cannes, vincendo il Premio Mercedes-Benz per il miglior film della sezione.
Un film nichilista, duro, difficile da digerire per tutti, adatto a coloro che amano il cinema in ogni sua espressione, non hanno pregiudizi, hanno stomaci forti, e vogliono un prodotto diverso dal solito.
Recuperatelo, cercatelo, guardatelo, fateci delle riflessioni sopra, ma non perdetevi questa pellicola, perchè vale veramnete la pena guardarla.