Il cinema horror e violento è stato spesso vittima dei perbenisti che criticano l’eccessiva presente di sangue e sbudellamenti nel cinema moderno, soprattutto. Alcuni registi decidono di sottostare alle grida della “Santa Inquisizione” del perbenismo del pubblico cinematografico; altri, invece, se ne infischiano e, anzi, decidono di esagerare e portare la violenza ai suoi estremi. È questo il caso di uno dei registi orientali contemporanei più conosciuti ed apprezzati: Takashi Miike. Nel 2001 ha diretto ben 7 (sì, avete letto bene: SETTE) lungometraggi, tra i quali il film preso in esame oggi, Ichi the Killer. Una sinfonia di sangue e budella, di sadismo e masochismo estremi, così estremi da essere comici.
Ichi (Nao Omori), un ragazzo timido e fragile ma sadico all’inverosimile, è un serial killer alla mercé di un uomo freddo e calcolatore, Jijii (interpretato da un magnifico Shin’ya Tsukamoto). Un giorno, viene incaricato di uccidere il capo di un clan yakuza, Anjo. Kakihara (Tadanobu Asano) fa parte del clan di Anjo e, quando non trova più il suo boss, fa di tutto per ritrovarlo, inconsapevole della verità. Kakihara, raffigurato nella locandina dietro il titolo del film, è un uomo sfregiato e amante del dolore, innamorato del boss non perché omosessuale ma perché Anjo era l’unica persona in grado di farlo soffrire come piace a lui.
Sfatiamo subito un mito: Ichi the Killer non è un film sulla violenza. La violenza non è il fine del film ma è un semplice mezzo. Ichi the Killer è un film sul desiderio e sul piacere, su un amore irraggiungibile. I due protagonisti, infatti, sono alla ricerca di un piacere che non riescono a raggiungere, due facce della medesima, malatissima, medaglia. Ichi vorrebbe riuscire a violentare una ragazza che è stata stuprata di fronte a lui quando era ancora un ragazzo (circostanza nella quale ha avuto un’erezione), Kakihara vorrebbe venire massacrato nuovamente dal suo padrino. La violenza, dunque, è solo lo strumento per mezzo del quale Sakichi Sato, autore della sceneggiatura, e Miike hanno voluto trasmettere un messaggio che affonda le proprie radici nella filosofia pessimista: il piacere è un obiettivo irraggiungibile.
Il mondo di Ichi the Killer è corrotto nell’animo, non c’è spazio per il bene. I personaggi sono tutti negativi e, quelli che non lo sono, sono destinati ad una fine orribile. Anche la polizia è un’entità pessima: un ex poliziotto, licenziato per aver perso la pistola, diventa uno yakuza un po’ impacciato e bonaccione, finché ucciderà a suon di calci una donna; due agenti di polizia, entrati nell’Arma grazie a Kakihara, lo aiutano a cercare Ichi, dando sfogo a tutta la loro follia in più di un’occasione. La classica dinamica cacciatore-preda viene completamente annullata, tutti sono cacciatori e tutti sono prede, le strade di Shinjuku diventano lo scenario della follia distruttiva del genere umano. Ichi the Killer è una bomba atomica di violenza e trasgressione, smorzata, di tanto in tanto, da degli effetti speciali un po’ scadenti. Lo stile di Miike è riconoscibilissimo sin dal primo secondo di pellicola, con una sequenza velocizzata che sembra uscire da un videoclip musicale. Una regia ed un montaggio schizzati che squarciano la pellicola e lo stomaco dello spettatore, che, comunque, non può fare a meno di lasciarsi andare a delle fragorose risate, grazie a delle trovate comiche senza le quali il film sarebbe stato davvero uno dei più traumatizzanti di sempre. Ichi the Killer è un film sadico e lo spettatore è la sua vittima consapevole e consenziente, in cui il genio visionario e folle di Takashi Miike tortura la mente del suo pubblico, riuscendo a farlo ridere con una cascata di budella e sangue. Capolavoro.