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Samurai ex machina: Samurai Gourmet (2017)

Talvolta, a chi piace scrivere, di qualsiasi cosa si tratti, si trova in difficoltà. Le cose da dire sono a volte talmente tante e, al tempo stesso, talmente poche che non si sa da dove iniziare. Questo è esattamente il mio sentimento mentre osservo la stanghetta lampeggiante del mio computer. Cosa dire di Samurai Gourmet? Iniziamo dall’ovvio. Samurai Gourmet è una serie originale Netflix giapponese che, però, non è stata doppiata in italiano. La si trova solo in giapponese con i sottotitoli nella nostra lingua.

La sigla della serie racconta tutto ciò che serve sapere prima di vedere questa opera. Una voce narrante racconta all’inizio di ogni episodio: “Dopo essere andato in pensione, ha perso il titolo di impiegato e il sostegno della sua azienda. Takeshi Kasumi, 60 anni. Questa storia narra di un normale uomo di 60 anni che è aiutato da un samurai senza padrone a mangiare liberamente senza essere ostacolato. La fantasia di un buongustaio”. Punto. La particolarità di questa serie è quella di non avere quasi nulla da mostrare. Ciò che la macchina da presa ci fa vedere è un sessantenne che vaga per le strade della città e che mangia e beve in qualche ristorante più o meno elegante e raffinato. Tutto qui. I conflitti che vengono messi in scena sono estremamente semplici. Si tratta, solitamente, di qualcuno maleducato o di una sua titubanza. La serie non ha nulla di grosso da mostrare. Abbassa drasticamente i toni, riportando sullo schermo situazioni e conflitti che appartengono alla normalità. Ciò che Kasumi affronta in ogni episodio è qualcosa che potrebbe capitare a chiunque. Quando si trova davanti ad una situazione conflittuale, il protagonista non sa mai cosa fare, è spesso spaventato. È in questi momenti che immagina un viaggio nel tempo e torna nel Giappone feudale. Il ristorante e chiunque sia al suo interno, lui escluso, si trasformano in un locale e in persone dell’epoca e fa il suo ingresso il samurai errante, che mostra al protagonista, come un deus ex machina, la soluzione per uscire dalla situazione in cui si trova. È un personaggio rozzo e diretto, l’esatto opposto di Kasumi, che, invece, è timido e riservato e preferisce aggirare un problema, anziché affrontarlo.

Takeshi Kasumi ama mangiare.

La regia è di ottima qualità, nella sua estrema semplicità: si limita a qualche lenta carrellata, solitamente, e, ogni tanto, all’utilizzo di una camera a spalla. Il problema grosso di questa serie è la fotografia, che non dà all’opera un look cinematografico/televisivo ma la fa sembrare un prodotto da youtube, seppur di ottima qualità, e talvolta gli sfondi sono sovraesposti. Anche il frame rate (la quantità di fotogrammi presenti in un secondo) è ben superiore ai 24 fps tipici dei prodotti di questo tipo, azzarderei dire che siano almeno 60, più o meno. Questo rende le immagini più fluide ma, essendo abituati ai 24 fps, disturbano lo spettatore più attento. A parte ciò, però, Samurai Gourmet è una serie bellissima. Uno dei prodotti più posati e poetici che siano presenti sul catalogo Netflix, almeno secondo la mia personale esperienza. L’atmosfera pacifica e sognante che si respira è quasi commovente. È una serie che coinvolge e avvolge lo spettatore, il quale, se non è dotato di una forza di volontà piuttosto imponente, si ritrova a finire la serie in un solo giorno (ogni riferimento alla mia visione di Samurai Gourmet è puramente casuale).

Il personaggio di Takeshi Kasumi suscita una gran tenerezza. Il suo sguardo e il suo sorriso sono innocenti e lo rendono subito simpatico. È un personaggio estremamente positivo immerso in un mondo ricco di contraddizioni. Le sue avventure mettono in mostra le debolezze di una società alienante. Basti vedere il primo episodio, a titolo esemplificativo. Kasumi entra in un bar e decide di bere una birra, in pieno giorno. Avendo passato una vita in un’azienda e avendo sviluppato una forma mentis rigida e rigorosa, che non permette il minimo sgarro, è titubante: bere una birra durante il giorno, mentre gli altri clienti del locale sono in pausa pranzo, gli sembra una bestemmia, qualcosa di orrendo. C’è bisogno del samurai, che ordina del sakè, per convincerlo a bere la birra. Il mondo giapponese prevede un codice morale estremamente rigido, da rispettare in maniera rigorosa per evitare di infangare il proprio onore. “Chissà cosa pensano gli altri se bevo una birra a quest’ora”. Kasumi si fa una miriade di domande per il minimo problema a causa della prigione sociale in cui è stato rinchiuso per anni, durante la sua carriera lavorativa.