Home Rubriche Outsider Per una rivalutazione di Tommy Wiseau: The Room è un capolavoro.

Per una rivalutazione di Tommy Wiseau: The Room è un capolavoro.

Tommy Wiseau è un personaggio divenuto lo zimbello di molti appassionati di cinema, tanto da venire anche rappresentato sul grande schermo da James Franco in The Disaster Artist. E perché? Perchè ha realizzato un film come The Room, spesso definito come il peggior film della storia del cinema, al pari di opere come Manos the Hans of Fate et similia. Ebbene, oggi son qui per dimostrare che quello che viene sempre denigrato e fatto passare per film pessimo da deridere è in realtà l’opera di un genio, una pellicola densa di riferimenti coltissimi e simbolismi velati ma meravigliosi. Mi prenderete per pazzo, vi prenderete gioco di me ma questo è esattamente ciò che è successo a Wiseau e a molti altri geni del passato: il genio non può essere compreso dalla propria epoca, perché appartiene al futuro.

The Room è la storia di Johnny, un uomo buono e generoso il cui buon cuore lo rende vittima del mondo, un mondo crudele abitato da gente malvagia e manipolatrice. Come accadeva, ad esempio, nel meraviglioso Dancer in the dark di Lars Von Trier o come accadrà, nove anni più tardi, nel mastodontico Florentina Hubaldo, CTE di Lav Diaz. Johnny convive con Lisa, con la quale sta per sposarsi, la ricopre di regali ed attenzioni; ha “adottato” un ragazzo problematico, Denny, che viene mantenuto dall’infinitamente generoso Johnny; ed ha un migliore amico per il quale farebbe di tutto, Mark. La realtà, tuttavia, non è quella che lui crede e le persone attorno a lui faranno di tutto per distruggere il povero protagonista. L’amore, l’amicizia, la fedeltà: tutti valori che si riveleranno illusori e solo causa di dolore.

Tommy Wiseau nei panni di Johnny.

Non è mia intenzione l’affermare che The Room sia un film perfetto, sarebbe una reale ed inutile esagerazione; soffre di qualche difetto, come quasi ogni film che sia mai stato realizzato: uno su tutti è il comparto visivo, che, effettivamente, tra regia e fotografia non offre nulla di realmente valido. Il talento di Wiseau non risiede nella composizione dell’immagine ma nella scrittura. La narrazione di The Room è solo in apparenza grezza, superficiale e banale ma dietro questa maschera di rozzezza si cela un universo culturale vastissimo pieno di rimandi ed occhiolini a grandi esempi letterari del passato. Il primo esempio degno di menzione riguarda la reiterazione quasi ossessiva di concetti e battute che, nel corso dei circa cento minuti di durata del film, ritornano un numero spropositato di volte, come il “He’s my best friend” di Mark nei momenti in cui Lisa prova a sedurlo. La ripetizione è una caratteristica propria della tradizione antica di millenni dei racconti epici dell’antica Grecia: i poemi omerici, ad esempio, sono il perfetto esempio di ricorso a formule fisse, che servivano agli aedi (coloro che narravano le vicende di dèi ed eroi) per ricordare eventi e personaggi. “Achille piè veloce” è la più nota di queste formule fisse ma ne esistono a centinaia.

L’esistenza di sottotrame appena abbozzate e inutili ai fini della trama generale, come la questione del cancro della suocera di Johnny e molte altre. Sono elementi che potrebbero suscitare una sensazione di fastidio nello spettatore ed è proprio questo il loro scopo: solleticare la mente del pubblico, come una piuma sotto la pianta del piede. Queste sottotrame vogliono insinuarsi nella psiche e sono espressione dell’inconscio dello stesso Wiseau, elementi sconnessi dal nucleo centrale della narrazione, il refuso della tradizione moderna del surrealismo: questa corrente artistica e letteraria, una delle più importanti del ‘900, prevedeva proprio lo scorrere libero delle idee senza l’intervento della ragione come filtro di esse. L’irrazionalità narrativa di The Room è, dunque, la traduzione letteraria di quel processo altrettanto irrazionale della creazione surreale. Non solo ma all’interno di questa narrazione surreale risiede anche un nitidissimo riflesso del reale: surreale e reale coesistono alla perfezione in questo piccolo capolavoro, così spesso deriso ingiustamente. Infatti, nella vita di tutti i giorni attorno a noi avvengono un’infinità di cose, non tutte degne della nostra attenzione, non tutte con una reale influenza su di noi, anche quando esse appartengano alla ristretta cerchia delle amicizie e dei legami familiari: non possiamo tener conto costantemente di avvenimenti che interessano persone a noi vicine, altrimenti tutte le nostre energie sarebbero rivolte esclusivamente verso di loro, conducendo, così, ad un’auto-annichilimento. Poiché la narrazione di The Room si pone nel punto di vista di Johnny o, ad ogni modo, si concentra su ciò che può avere un’influenza diretta su di lui, è giusto che la sottotrama del cancro sia appena abbozzata, così come quella della coppia che amoreggia di nascosto a casa di Johnny e Lisa: esse sono sia frutto, come detto, del processo creativo irrazionale derivato dal surrealismo,  sia proprio l’incarnazione di tutti quegli eventi che accadono attorno a noi ma dei quali non possiamo, per nostra stessa natura, occuparci.

Il Gesù-Wiseau nella trasposizione moderna dell’Ultima Cena.

E, dulcis in fundo, l’ultimo punto che vogliamo mostrarvi a sostegno della nostra rivalutazione di The Room è una rielaborazione in chiave moderna della storia di Gesù Cristo. “Come? Ma questa è blasfemia!”, penseranno in molti. No, è una cosa piuttosto palese, se non ci si soffermasse soltanto ad una visione superficiale del film. L’infinita bontà di Johnny è quella di Gesù Cristo e il protagonista stesso del film, proprio come il Figlio di Dio, si circonda di seguaci che, in un primo momento, lo amano, salvo poi tradirlo e rinnegarlo, trasformandosi tutti in moderni Giuda Iscariota e Pietro. Tra tutti loro, però, il più negativo dei personaggi è Lisa, la quale è l’incarnazione del Diavolo che nel deserto prova a tentare Gesù. Se, però, nel racconto evangelico il Cristo riesce a resistere al Maligno, il Messia-Wiseau è destinato a perdere il proprio status divino, è totalmente umano ed ecco che, dunque, quando il Diavolo-Lisa dice a Johnny di bere dell’alcool (lui è astemio), dopo un primo tentativo di resistenza, il povero Cristo decaduto cede. Un uomo-non-più-Dio, quindi. Pura carne privata della sua essenza divina. E, infatti, al momento del suo sacrificio, Johnny non dice, come Gesù sul Golgota, “Padre, perché mi hai abbandonato?” ma “Dio, perdonami”: Gesù, in questa versione moderna, è sotto Dio, è al livello dell’uomo mortale.

Vogliamo concludere questo articolo con una citazione dal vocabolario Treccani:

ironìa s. f. [dal lat. ironīa, gr. εἰρωνεία «dissimulazione, ironia», der. di εἴρων -ωνος«dissimulatore, finto»]. Nell’uso com., la dissimulazione del proprio pensiero (e la corrispondente figura retorica) con parole che significano il contrario di ciò che si vuol dire.