“Cos’è questa cazzata dei contributi, andate a lavorare”
Ken Loach mette subito le cose in chiaro, già nei primi minuti del suo nono film Riff Raff del 1991. Siamo negli anni delle più drammatiche depressioni economiche inglesi. In giro ci sono oltre 3 milioni e mezzo di disoccupati e per strada girano più topi che anime. Stevie (Robert Carlyle) è un giovane ex galeotto di Edimburgo che trova lavoro in uno dei tanti cantieri proliferati nella Londra provata dalle politiche reazionarie e classiste di Margareth Thatcher.
“Tutti dovrebbero avere una casa nel 1990” dice uno dei suoi colleghi.
E ancora: “Mi spiegate perché qualcuno ci deve guadagnare ogni volta che si bolle il latte, o tutte le volte che un ragazzino beve un bicchier d’acqua o un pensionato si scalda col la stufa a gas, prima gli speculatori facevano i soldi sulla terra e sulle case, invece adesso li fanno con il gas.”.
Intanto Stevie riesce a sistemarsi in uno squallido alloggio abusivo grazie ai nuovi amici. Il giovane, motivato dalla voglia di dare una svolta alla sua misera esistenza, incontra casualmente la bella Susan, aspirante cantante di scarse qualità. Tra i due nasce una tenera relazione sentimentale. Intanto il suo collega Larry viene licenziato per aver cercato di far rispettare le norme di sicurezza mancanti nel cantiere.
Sceneggiato da Bill Jesse, il film ha vinto il Premio critica Internazionale al Festival di Cannes e la consacrazione del regista.
Il titolo al modo di dire francese “le rif et le raf” che indica tutto il popolo, ma anche feccia o marmaglia.
Insieme ai successivi “Piovono Pietre” e “Ladybird Ladybird”, la pellicola rappresenta un’ideale trilogia loachiana, ma anche l’inizio di una nuova stagione cinematografica inglese. Una New Wave che continuerà con alcuni successi planetari diretti da suoi colleghi ed estimatori come “Grazie, signora Thatcher” di Mark Herman e “The Full Monty” di Peter Cattaneo.
Il neorealismo operaio loachiano non è ancora al meglio, ma Riff Raff resta ancora oggi un film solido e fermo nella condanna della direzione disumana della società contemporanea. Motivato dai suoi saldi ideali marxisti-trotzkisti, Loach mette in evidenza la normalità e la rassegnazione di un’intera generazione, annientata nella sua individualità dal sistema capitalistico e dalle politiche conservatrici di quegli anni.