Siamo a Chicago ed è il 1968. Un eterogeneo gruppo di attivisti americani si è messo alla guida di una manifestazione contro la guerra del Vietnam in occasione della convention del Partito Democratico.
La crescente tensione politica del momento porterà le autorità a soffocare con violenza questa marcia non autorizzata. A distanza di pochi mesi i protagonisti di questa vicenda sono sotto processo. Una giuria e un giudice fazioso e despota (Frank Langella) li giudicheranno per i fatti commessi e anche per quelli non commessi. I sette leader, anche se motivati dalle stesse sane ragioni, non potrebbero essere più diversi tra loro. C’è Abbie Hoffman (ve lo ricordate con la bandana in testa mentre esaltava la folla in Forrest Gump) interpretato da un sontuoso Sacha Baron Cohen. C’è Jerry Rubin (Jeremy Strong) anche lui dello Youth International Party.
Quindi l’attivista pacifista David Dellinger (John Carroll Lynch), l’attivista per i diritti civili Tom Hayden (Eddie Redmayne) e gli altri attivisti Rennie Davis (Alex Sharp), John Froines (Daniel Flaherty) e Lee Weiner (Noah Robbins).
Insieme a loro anche Bobby Seale (Yahya Adbul Mateen II), fondatore del Black Panther Party, che in realtà era stato messo a processo per altre ragioni.
A rappresentarli William Kunstler “l’avvocato più odiato d’America”, un radical lawyer che ha difeso nella sua carriera gente come il comico Lenny Bruce, la leader comunista Angela Davis, il cantante Jim Morrison. A dare il volto a questo cazzuto e geniale drop out del foro, il solito Mark Rylance. Bravo anche Joseph Gordon-Levitt nel ruolo dell’avvocato Richard Schultz. Nel climax del film spunta poi Michael Keaton nei panni del procuratore e politico Ramsey Clark.
Ma potremmo parlare per ore di questa storia, dei tanti protagonisti e degli eventi che l’hanno ispirata. Potremmo anche parlare della genesi lunga che ha avuto questo sfortunato film passato di mano in mano da Steven Spielberg a Paul Greengrass, Ben Stiller, Peter Berg e Gary Ross. Fino ad Aaron Sorkin, grande sceneggiatore (Codice d’Onore, Il Presidente, The Social Network) che ritorna alla regia dopo il successo di Molly’s Game.
Raffinato e intelligente, Il processo ai Chicago 7, è un classico “legal thriller”, molto tirato e solido.
Ciò che si apprezza al meglio sono gli attori, tutti senza eccezioni e la sceneggiatura. Quest’ultima sempre in bilico tra nozionismo storico e parentesi comiche, non ha sbavature e regala perle e citazioni importanti.
Sorkin alterna le fasi giudiziarie con la ricostruzione dei fatti di quel caldo e violento agosto del ’68. I flashback che rievocano gli eventi di Chicago sono inoltre accompagnati sapientemente da innesti cinegiornalistici che esaltano l’esperienza immersiva del dramma e il ritmo del film.
La grande sfortuna di questa eccellente pellicola è quella di essere stata rinviata troppe volte e di essere stata distribuita nel periodo storico peggiore per la storia del cinema americano, finendo direttamente nei televisori grazie a Netflix, ma saltando a piè pari le sale.