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Peppermint – L’angelo della vendetta – La Recensione

Riley North (Jennifer Garner) è felicemente sposata con Chris (Jeff Hephner) e ha una meravigliosa figlia di 11 anni. Nonostante qualche difficoltà economica, la famigliola vive serenamente nel loro appartamento di Los Angeles. Riley è una dipendente di una filiale bancaria, mentre il marito fa il meccanico. I guai nascono quando Chris viene coinvolto (contro la sua volontà) in un’operazione losca ai danni di una gang di Narcos locali.

Il boss Diego Garcia (l’attore colombiano Juan Pablo Raba) decide di vendicarsi in maniera cruenta, facendo fuori sia Chris che la piccola Carly (Cailey Fleming).

Rimasta sola e in balia di problemi economici e dei farmaci per attenuare l’immenso dolore, Riley si rivolge alla giustizia. Nonostante la donna abbia con fermezza identificato gli assassini della sua famiglia, un avvocato e un giudice corrotto decidono di scagionare gli uomini di Garcia responsabili dell’efferato omicidio. Riley a questo punto sparisce per 5 anni, studia arti marziali e diventa un’esperta di armi e tattiche di guerriglia. Per lei è giunto il momento della vendetta.

Questo action girl firmato da Pierre Morel non si discosta molto da Io vi troverò (Taken), un precedente film del regista francese. Al posto di Liam Neeson, troviamo una meravigliosa Jennifer Garner, mai così bella ed incazzata.

L’attrice, già avvezza a questi ruoli violenti e dinamici, è diventata il capro espiatorio di questa pellicola, a causa della ingiustificata nomination ai Razzie Awards 2018. I problemi del film sono però ben altri.

Narrativamente “Peeppermint” attinge da Kill Bill, in fondo si tratta di una sposa macchiata di sangue e di un revenge movie molto classico. Anzi forse la parola più corretta sarebbe derivativa. In effetti il film di Morel è un impressionante serie di luoghi comuni del cinema di genere. Il responsabile principale è lo sceneggiatore Chad St. John (Attacco al Potere 2) che non solo infarcisce la pellicola deja vù, ma riesce ad inanellare un impressionante serie di incongruenze. Potremmo parlarne per ore ma sarebbe uno spoiler bello e buono.

Non spicca però neanche il regista che si limita a svolgere il suo compitino finendo per far compiangere anche il peggior film di Eli Roth. Violenza quindi, a volte completamente ingiustificata, ma che riesce almeno a destare lo spettatore da un’indotta ipersonnia idiopatica. Non il massimo per un film d’azione.

Inspiegabilmente però alla fine si riesce a terminare il film grazie proprio alla mingherlina ma cazzutissima attrice, alla violenza granguignolesca e dozzinale e ai continui ammiccamenti al cinema di genere B Movie destrorso anni ’70.

Spegnendo il cervello e munendosi di una buona dose di burrosissimi popcorn, è giustificabile anche la spesa del biglietto, ma niente di più.