Home Rubriche Outsider E ora parliamo di Kevin – Le colpe dei nostri genitori

E ora parliamo di Kevin – Le colpe dei nostri genitori

Eva, la prima donna, Eva la prima madre.

La nostra Eva, la protagonista di questo film, rinuncia alla sua carriera professionale nella sgargiante New York, per una vita borghese in provincia.

Un figlio in arrivo e un maritino che falcia il prato.

Una storia comune, ma tinta di rosso.

Si, perché il colore in questa pellicola della regista britannica Lynne Ramsay, è come il bordo in un puzzle.

Si comincia da li.

Ci troviamo per un attimo nel giorno della Tomatina (o qualcosa di simile), la festa spagnola dove ci si lanciano tonnellate di pomodori, il momento catartico, il più bel ricordo di Eva.

Prima delle rinunce.

Una plongée jodorowskyana estetizzante al limite del fastidioso, sulla sua vita, prima del marito e del figlio.

Il film va a ritroso, alla ricerca del momento in cui qualcosa si è rotto nella vita di Eva e ora vive da sola in un modesto ufficio.

Il film è tratto da il controverso romanzo di Lionel Shriver, che a dispetto del nome, anche lei un’altra donna.

Perchè “…e allora parliamo di Kevin” è forse una delle pellicole più riuscite e folgoranti sulla conflittualità materno-filiale , mai visti negli ultimi 20/30 anni.

Un capolavoro pittorico, eppure metafora potente e sincera, che trasporta lo spettatore dalla comune vita di una famiglia bene, alla spietata anamnesi di un nucleo familiare e di una tragedia, di quelle di cui parla la tv.

Una strage tipo quella di Gus Van Sant in “Elephant” o di Villeneuve in “Polytechnique”.

La domanda che si pone il film è tanto semplice, quanto complessa è la sua risposta: che colpe hanno i genitori degli errori dei figli?

Una disattenzione, un dispetto, una privazione, la disperata voglia di contatto fisico e un dialogo non richiesto.

Cosa deve o non deve fare un genitore per non indicare la strada sbagliata alla propria prole.

“Uno dei temi più misteriosi del teatro tragico greco è la predestinazione dei figli a pagare le colpe dei padri.

Non importa se i figli sono buoni, innocenti, pii” o al contrario assassini e malefici.

Su di loro comunque ricadrà l’infinitesimale imperfezione formativa dei loro padri.

Citando ancora Pasolini però: “le colpe sono dei padri anche se ciò non rende i figli innocenti.”

Eva (madre) e Kevin (figlio) hanno un rapporto disfunzionale.

Quando era piccolo Eva lo lasciava piangere, di contro lui usava una ferita che gli aveva procurato involontariamente la madre, come mezzo di ricatto.

In tutto questo Tilda Swinton è perfetta, il volto della frustrazione, dei sensi di colpa e del dolore.

John C. Reilly è un bamboccione, inutile se non deleterio marito, più che una centrata figura paterna.

Ezra Miller invece, nella parte del giovane e disturbato teenager è inquietante oltre ogni immaginazione.

“We Need to Talk About Kevin” di Lynne Ramsay sposta l’asticella del cinema un po’ più in là, in un posto dove si sta scomodi, stretti e dove tanto i padri quanto i figli rischiano di non imparare nulla, se non il no sense dell’esistenza umana o al massimo l’errore diffuso “nel credere che la storia non sia e non possa essere che la storia borghese.”

A cura di Giuseppe Silipo