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Oro verde – C’era una volta in Colombia

Prima che le mie impronte si cancellino voglio ricordare con il mio canto, l’amore, la desolazione, la ricchezza e il dolore, di quella grande famiglia che si distrusse da sola”.

Oro verde racconta l’ascesa e la caduta di una famiglia di narcotrafficanti, indios Wayuu, nativi americani originari della Penisola della Guajira, al confine con il Venezuela.

La storia è ambientata in un lasso di tempo che va dalla fine degli anni ’60 e l’inizio degli anni ’80. In pratica l’albore dei traffici illegali di droga in Colombia. Un fenomeno detto anche “bonanza marimbera”, che ha segnato in maniera definitiva la storia di questo paese. Diviso in cinque “canti”, Oro verde – C’era una volta in Colombia ha in realtà un titolo molto più significativo: Pájaros de verano.

Il riferimento è agli uccelli estivi, che con il loro passaggio segnano i cicli stagionali osservabili solo col tempo e metafora del mutare dei tempi. Nella prima parte si avverte il forte legame ancestrale dei nativi con la loro terra, tra danze tribali e affascinanti riti sociali. Poi il film cambia registro, diventando un appassionante e potente narcos-movie.

Al centro della vicenda il giovane Rapayet (Josè Acosta) che deve procurarsi una dote adeguata per prendere in sposa la bella Zaida, interpretata da Natalia Reyes, già vista nell’ultimo Terminator.

Per far ciò, con l’aiuto dell’amico Moises, inizia a commerciare un modesto carico di marijuana attraverso i Peace Corps, alcuni ragazzi americani più interessati alla ganja che ad altro. Poi nel corso degli anni questo piccolo commercio, nato più per necessità che per lucro, diventa una pericoloso giro d’affari. Un traffico che coinvolgerà altre famiglie degenerando in una guerra sanguinosa e crudele.

Dopo il bellissimo El abrazo de la serpiente, candidato agli Oscar 2016, il regista colombiano Ciro Guerra, questa volta affiancato dalla collega Cristina Gallego, firma un’opera ancestrale e sofisticata.

Gli autori ritraggono, con un approccio mai compiaciuto ma dolente, un poetico viaggio socioculturale che denuncia la profanazione di un “lost world” sudamericano. Un angolo di paradiso che è passato in breve tempo dallo splendore armonico dell’uomo e della natura, al miraggio della ricchezza, alle brame tentacolari del capitalismo edonistico filo americano. Parallelamente Guerra/Gallego, con estrema eleganza stilistica, cambiano anche il registro stesso della pellicola passando da realismo magico jodorowskyano ad un approccio più smaccatamente hollywoodiano.

Raffinata parabola della perdizione della comunità wayúu e dei suoi valori. A monte c’è la denuncia politica. “Abbiamo perso l’anima”, dice a Ursula (Carmina Martinez) la matrona pensando a figlio Leonidas (Greider Meza). Il giovane alcolizzato, emblema di questa nuova generazione di uomini corrotti da valori e ambizioni mai viste in quella terra.

Non un cinema istantaneo, ma un’operazione di ricerca decennale, testimonianza di un lavoro appassionato e necessario.