Home Rubriche Ora che le acque si sono calmate, parliamo di Chiara Ferragni Unposted.

Ora che le acque si sono calmate, parliamo di Chiara Ferragni Unposted.

C’è una bella ragazza, bionda e slanciata, domanda al tatuatore se il suo nuovo piercing, ora che è diventata mamma, le farà male. Poi si sdraia, si rilassa, prova a farsi coraggio e si ripete: «I tuoi follower saranno fieri di te».

Inizia così il controverso documentario di Elisa Amoruso: Chiara Ferragni Unposted.

E’ un incipit che spiazza, perché è una dichiarazione d’intenti. Questa non sarà una scontata agiografia, una mera operazione auto-celebrativa.

Tutto ha inizio con l’immagine di una bambina che dice: “Mamma, mi filmi?”

Ancora non sapeva cosa avrebbe fatto e chi sarebbe diventata quella fanciulla, ma al centro dell’attenzione non solo ci voleva stare, ma ce l’hanno messa. A 22 anni, la Ferragni apre il blog The Blonde Salad, da lì, il passo è breve e in pochi anni, l’imprenditrice, blogger, designer e influencer italiana diventerà uno dei nomi più conosciuti all’estero. Nel 2017 viene nominata dalla rivista Forbes «l’influencer di moda più importante al mondo». Non è un traguardo scontato e sono in pochi ad avere realmente il talento per riuscirci.

Elisa Amoruso sviluppa il documentario che cerca di restare in equilibrio tra un serrato resoconto della sua ascesa professionale e un più intimo diario della Ferragni figlia, moglie e madre.

Partiamo dal fatto che l’operazione della regista romana, riuscita o meno che sia, è stata mediaticamente linciata per colpire il personaggio. In molti si sono espressi, senza neanche aver visto il prodotto. L’Italia è un paese involuto, razzista, bigotto, misogino e profondamente invidioso del successo. Soprattutto di quello femminile. In più oggi non è chiaro a molti il mestiere di Chiara Ferragni e il suo posto nell’universo, perché la gente non arriva a fine mese. Ma tutto questo non ha niente a che fare col documentario della Amoruso, che si pone come obiettivo solo quello di destrutturare e analizzare un fenomeno di costume e non solo, tra i più importanti degli ultimi anni. E’ dunque necessario separare in maniera decisa il giudizio sulla persona da quello sulla pellicola.

La regista riesce ad intuire che il punto di forza del suo film è quello di affrontare la storia della Ferragni con un approccio pop. Quasi fosse una mega stories di Instagram lunga 85 minuti, capace però al contempo di far luce sul fenomeno socioculturale. A volte ci riesce, a volte no.

Il limite principale di Chiara Ferragni Unposted è probabilmente quello di non avere un reale contraddittorio.

Fondamentalmente manca la conflittualità. Come nel cinema di fiction, il cammino dell’eroe non può essere privo di ostacoli. Alterna momenti efficaci al suo scopo, a carichi insulinici insopportabili. Fallisce miseramente quando cerca di parlare dell’intimità del personaggio, che sembra essere chilometri lontana dall’obiettivo. Si sgonfia quando ad esempio arriva la scena in lacrime sulla “paura di essere troppo felice” o i momenti cristologici in cui dice cose come: “mi cibo dell’energia dei miei follower anche nei momenti più difficili”. Ma si esalta nella descrizione della macchina da guerra aziendale che spiega i meccanismi più tecnici della sua professione. Funziona quando è alla ricerca della sorgente del suo successo, in particolar modo quando prende coscienza del ruolo che la figura materna ha avuto nella sua carriera.

Chiara Ferragni Unposted è insomma un racconto imperfetto, ma senza fronzoli, di una donna tutta fronzoli, ma talentuosa.

Un’istantanea che, nel descrivere le ambizioni umane e professionali di una self-made woman, si pone anche l’obiettivo di parlare di Post Millennial Marketing e delle fragilità della Generazione Instagram.

Non è poco, ma si poteva fare di meglio.