Tutti conoscono Takashi Miike, almeno di nome. Un regista eclettico, capace sempre di far parlare di sé, estremamente prolifico (oltre 100 lungometraggi in nemmeno trent’anni) e dallo stile estremamente riconoscibile. Noto principalmente per l’estrema, nonché, talvolta, grottesca, violenza delle sue opere, è un autore dalla Weltanschauung estremamente cupa che, tuttavia, non rinuncia a momenti di comicità per alleggerire i toni altrimenti irrespirabili delle sue pellicole. Pensiamo ad un film come Ichi the Killer, che, senza il suo animo buffo e grottesco, risulterebbe al limite dell’insopportabile per qualunque tipo di stomaco, forte o non. In collaborazione con gli amici di VVVVID, noi di Jamovie abbiamo deciso di parlarvi dei bellissimi film miikiani presenti sul ricco catalogo del sito di streaming. Ed ecco, dunque, questa nuova rubrica: Miike su VVVVID, una serie di 9 articoli per presentare gli altrettanti film del regista di Osaka. Pronti per questo viaggio nella mente di uno dei maestri più folli del cinema giapponese?
Shinjuku Triad Society, il film più datato, tra quelli su VVVVID firmati Takashi Miike, non è affatto un film leggero. Primo capitolo di una trilogia nota come Kuroshakai (“Società oscura”), che esplora con estremo cinismo, senza rinunciare ad uno sguardo piuttosto realista e, al tempo stesso, grottesco, il mondo della yakuza, tema caro al regista. La storia ha due protagonisti: Wang Zhiming, un boss malavitoso omosessuale taiwanese che ha un traffico di organi illegale con il suo paese d’origine e che cerca un contatto con i capi dei clan yakuza di Shinjuku, e Tatsuhito Kiriya, un poliziotto corrotto e violento, di origini cinesi, che dà la caccia a Wang e viene a conoscenza del coinvolgimento del fratello, Yoshihito, nei loschi affari di Wang. Il mondo in cui questi personaggi si muovono è dominato solo da ombre e negatività; non esistono i buoni, esistono solo cattivi con diversi obiettivi. E ci accorgiamo di ciò sin dall’incipit del film, nel quale vediamo teste mozzate, esagerati schizzi di sangue e poliziotti che si fanno fotografare sorridenti mentre tengono per i capelli, come reggendo un premio, proprio quelle teste ormai separate dai loro corpi. I cattivi sono estremamente crudeli, i buoni sono corrotti e altrettanto crudeli. Non esiste la fiducia, non esiste la lealtà. Esiste soltanto il degrado del mondo yakuza che, come un buco nero, risucchia tutte le luci, lasciando solo oscurità e il Nulla attorno a sé.
Anime perdute vagano per le claustrofobiche strade di una Shinjuku completamente corrotta, dominata dalla violenza e dal più tetro nichilismo. La malavita rappresentata da Miike non è quella estetizzata ed edulcorata dei grandi classici dei mafia movies: se, guardando Il Padrino, tutti hanno sognato anche solo una volta di fare il gangster, nessuno potrebbe mai fare altrettanto guardando Shinjuku Triad Society. La follia di Miike si riversa nella pellicola con dosi massicce di sangue e violenza incontrollata, come nell’interrogatorio di una ragazza, ossessionata dal sesso, durante il quale Tatsuhito, alla ricerca di informazioni su Wang, spacca una sedia sul volto di lei. O, ancora, durante un interrogatorio di un uomo, per estrapolargli informazioni, lo fa sodomizzare da un omuncolo distinto ed elegante, ma forte fisicamente; una scena di per sé angosciante ma alleggerita da effetti sonori grotteschi (la penetrazione assume il suono di dita su un palloncino). Miike vuole colpire lo spettatore, vuole raccontargli la sua visio mundis ma sa che, prendendosi troppo sul serio, rischierebbe di rendere la visione delle sue opere insopportabile.
La regia si affida a una macchina a mano traballante, instabile, specchio dell’angoscia interiore dei personaggi, e ad un montaggio a tratti profondamente debitore a quell’immensa lezione di cinema che è stato Tetsuo di Shin’ya Tsukamoto, come nella sequenza iniziale, nella quale immagini sconnesse ci presentano il mondo di Shinjuku, passando davanti ai nostri occhi con una rapidità straniante. La fotografia, a differenza della regia, è estremamente pacata, tipicamente noir, con ombre nerissime, opprimenti e claustrofobiche, fumi che rendono l’atmosfera eterea e a tratti sognante. Però il film è tutto men che sognante. È un potentissimo pugno nello stomaco profondamente legato alla cruda realtà che, tuttavia, non rinuncia a bellissime riflessioni circa la famiglia e l’importanza che essa ha nella vita di un uomo: Tatsuhito vuole salvare il fratello per non vederlo crollare nel baratro dell’inferno della yakuza, gli vuole bene e, proprio per questo, è costretto a metterlo fuori gioco con la violenza. È un fratellone dall’animo corrotto ma, in ogni caso, affettuoso e premuroso nei confronti del fratello più piccolo.
Shinjuku Triad Society è un monumento alla cupezza del mondo e alla crudeltà dell’esistenza universale, non solo legata all’ambiente yakuza. Il discorso portato avanti da Miike e dallo sceneggiatore Ichirô Fujita parte dalla realtà malavitosa per espandersi al genere umano, mettendo in scena la miseria dell’uomo, che si manifesta in modi differenti, adattandosi alla storia di ogni individuo. C’è chi rinnega le proprie origini e il cui obiettivo manifesto è, probabilmente, solo un pretesto per riavvicinarsi a quelle radici, così come c’è chi cerca nel piacere omoerotico un balsamo per lenire il dolore dell’esistenza. La realtà messa in scena da Miike è una trappola mortale dalla quale ogni tentativo di fuga sembra essere futile, una prigione buia e crudele senza porte né finestre, illuminata solo dalla tenue luce delle candele dei desideri e degli obiettivi autoimposti che non fanno altro che rendere le ombre presenti ancora più tetre.
Per vedere il film in streaming gratuito e legale, cliccate su questo link: Shinjuku Triad Society su VVVVID.