Home Rubriche Horror Metallo, la nuova carne: Tetsuo di Shin’ya Tsukamoto (1989)

Metallo, la nuova carne: Tetsuo di Shin’ya Tsukamoto (1989)

Chiunque sia appassionato di cinema underground sa bene che quello orientale è sa produrre film capaci di colpire lo spettatore nel profondo, raggiungendo livelli di malattia e angoscia tali da rendere la visione al limite dell’insostenibile. È questo il caso di Tetsuo – The Iron Man, film del 1989 che segna il debutto alla regia di un lungometraggio di Shin’ya Tsukamoto, uno dei registi indipendenti giapponesi più importanti e apprezzati, nome di spicco del cinema cyberpunk. Questo è un film debitore in molta parte al cinema di David Cronenberg e, più limitatamente, ad alcuni aspetti di quello di David Lynch. Rientrando a far parte del filone del cosiddetto body horror, non manca di proporre immagini stomachevoli di trasformazione della carne umana, come accadeva, per esempio, tre anni prima in La mosca del succitato Cronenberg. Quello che ci viene proposto è un lento processo di “deumanizzazione” dell’individuo della durata di 67 minuti, la creazione di una “nuova carne”, per usare un’espressione cronenberghiana (si veda Videodrome), fatta di metallo per la distruzione del mondo. “Trasformiamo il mondo in una massa d’acciaio. Facciamolo arrugginire tutto cosi che si sbricioli nel cosmo.

La trama è di importanza secondaria e narra la storia di un ragazzo feticista del metallo al quale piace procurarsi dolore con pezzi metallici. Quando, un giorno, prova ad innestarsi un piccolo tubo sul femore, il corpo lo rigetta, così il ragazzo inizia a correre in preda al panico per le strade della città, finché viene investito da una coppia in macchina, che, convinta che il ragazzo sia morto, ne getta il corpo in mezzo ad un bosco, fingendo di fare l’amore tra gli alberi per non destare grossi sospetti. Tomoo, l’uomo della coppia, però, un giorno scopre, facendosi la barba, un pelo metallico sbucare da sotto la pelle del viso. Questo è l’inizio della fine: comincia, infatti, una lenta e terrificante trasformazione del suo corpo in metallo. Infine, Tomoo si scontra con il feticista fino a che i due corpi diventano un unico essere meccanico.

L’innesto metallico dal quale ha tutto inizio.

Questo non è un film per tutti, nonostante la sua breve durata, richiede uno sforzo di concentrazione per via del suo stile estremamente particolare che potrebbe affaticare lo spettatore meno attento. Shin’ya Tsukamoto mette in scena una storia piuttosto semplice, drammaturgicamente imperfetta, con una tecnica allucinante. Il suo scopo non è raccontare una bella storia ma sconvolgere e disturbare lo spettatore. Quello che ci viene mostrato è un agglomerato di angoscia metropolitana e delirio della modernità. Quella stessa modernità dipinta a tinte cupe e disturbanti da Cronenberg la ritroviamo in Tetsuo, un incubo allucinatorio in cui sessualità e industrializzazione si uniscono generando un essere mostruoso. Tutto in questo film sgorga da una sessualità deviata caratteristica della nostra era, dalla parafilia metallica che dà origine a tutto il film al rapporto malato che Tomoo ha con la moglie dopo la sua trasformazione, durante la quale il suo pene diventa un enorme trapano con il quale penetra la donna, uccidendola. Sessuale è anche il rapporto tra la macchina da presa e la materia industriale, ricorrendo spesso a inquadrature molto ravvicinate dei pezzi di metallo, delle ferite e delle trasformazioni. La regia, oltre che per i suoi dettagli disturbanti, si fa notare anche per una scelta che raramente si vede: Tsukamoto, infatti, ha deciso di girare alcune sequenze in stop motion, unendo, di fatto, due stili molto diversi tra di loro, come fece, per esempio, David Lynch nel suo cortometraggio capolavoro The grandmother, che consiglio a chiunque di recuperare, se non lo avete già visto. Esattamente come Lynch, Tsukamoto pare avere un’attrazione quasi erotica per il paesaggio cittadino-industriale. Si pensi alle scenografie di Eraserhead, per esempio: luoghi decadenti, nebulosi, quasi intangibili nonostante la loro pesante e rumorosa materialità; luoghi scarni, tetri e monotoni; luoghi desolati e desolanti, luoghi in cui la realtà si trasforma in orrore e inquietudine.

La trasformazione di Tomoo: il pene diventa un enorme trapano.

Il montaggio svolge un importantissimo ruolo nel suscitare angoscia e ansia. Moltissime inquadrature hanno una durata infinitesimale, tanto che alcune risultano quasi incomprensibili, al limite del subliminale. Il ritmo del montaggio è estremamente rapido ma la visione non scorre altrettanto rapidamente, a causa dell’inquietudine che Tetsuo suscita. Fondamentale, in questo caso più che in molti altri, è l’uso della colonna sonora, brani industrial che tartassano le orecchie dello spettatore. Note tetre che si aggiungono a quell’enorme, monumentale incubo di metallo che è questo capolavoro. Una colonna sonora che sottolinea ancora una volta la deumanizzazione della società industriale: tutto quello che vediamo e sentiamo in questo film è puro gelo industriale, sferzate di modernità che priva l’individuo della propria umanità e che conduce alla distruzione del mondo.

Tetsuo non è solo un capolavoro dell’horror più estremo e disturbante ma è anche una lezione di cinema per tutti gli aspiranti registi: non servono i soldi, quando si ha un’ottima idea ed un adeguato gusto artistico. Shin’ya Tsukamoto, infatti, ha girato questo film con un budget irrisorio, realizzando però un prodotto dalla potenza espressiva encomiabile ed inimitabile. Gli effetti speciali sono realizzati tutti artigianalmente, i costumi di metallo sono fatti con scarti che il regista e i suoi collaboratori trovavano nella spazzatura. La mancanza di fondi può e deve essere trasformata in un pregio, in un modo per trovare soluzioni alternative a problemi facilmente risolvibili con grossi budget. La mancanza di soldi è, spesso e volentieri, alla base della sperimentazione.