24Il matrimonio dovrebbe essere una delle esperienze più belle nella vita di una persona. Soprattutto per una donna, una ragazza, che si appresta a condividere un giorno così emozionante con la sua famiglia e con il suo futuro marito.
Questo è quello che si aspetta fin dall’inizio di questo film la protagonista, la diciottenne israeliana Shira (Hadas Yaron), fglia di una famiglia ebrea ortodossa di Tel Aviv, che si appresta a celebrare le nozze con il suo fidanzato di pari estrazione sociale e suo coetaneo. Ma nel giorno del Purim, una festività ebraica, la sorella Esther muore di parto, lasciando soli il piccolo nascituro e suo marito Yohai (Yiftach Klein).
Il giovane vedovo, potrebbe risposarsi con una donna belga, ma questo significherebbe per Shira e per la sua famiglia, non vedere più il proprio nipote. A meno che la giovane ragazza non decida di annullare tutti i suoi sogni futuri, per prendersi una responsabilità, molto più grande di lei.
Tradizioni ebraiche, matrimonio, e la scelta della giovane Shira sono i temi principali che fanno da sfondo a questo emozionante film della regista newyorkese Rama Burshtein, suo lavoro d’esordio.
Seppur la durata è solo di 90 minuti, “La sposa promessa” riesce in due intenti principali : il primo è quello di risaltare la bellissima prova della protagonista, Shira, che per la sua interpretazione alla 69a mostra del cinema di Venezia si è aggiudicata (e possiamo dire meritatamente) la Coppa Volpi come miglior interpretazione femminile.
In secondo luogo, la cosa meglio riuscita di questo lungometraggio è il senso di angoscia e di agitazione che la ragazza portando dentro di sè per la decisione che si appresta a prendere, da a tutto il film e anche a noi spettatori, che a proiezione terminata siamo forse più in ansia di lei.
Il tutto è aiutato da scelte di regia ben azzeccate : le musiche, le inquadrature ravvicinate, quasi a voler dare maggiormente questo senso di chiusura e soffocamento che la ragazza vive, in una continua lotta tra il fare ciò che è giusto e ciò che lei vorrebbe. Gli ambienti chiusi in cui poi spesso si radunano molte persone rendono ancora meglio questo senso di mancanza spazio, di aria, di libertà.
In un film dove l’azione è poca e a farla da padrone sono gli sguardi, le inquadrature, i dialoghi, spiccano inoltre le prove degli attori, a partire da quello della già citata Yaron, di suo cognato Yohai e di sua madre Rivka (Irit Sheleg). La pellicola ci mostra molto della cultura di questa popolazione, di questo incontro scontro tra libertà e regole, sia nel matrimonio che fuori ( le unioni possono essere combinate ma i due giovani sposi devono accettare, il copricapo che deve essere portato dalle donne una volta sposate, le celebrazioni delle festività ebraiche durante la storia).
Nonostante qualche momento che fa sorridere, il film è molto coinvolgente, e ha forti toni drammatici e nonostante l’azione sia poca la noia difficilmente può assalire lo spettatore. A condire il tutto poi c’è anche la copertina, l’immagine della giovane sposa Shira, che sembra molto la copertina di un film horror , cosa a cui l’immagine di una giovane sposa non dovrebbe farci pensare. Molto suggestiva.
Il film era stato scelto da Israele nel Settembre 2012 per essere candidato agli Academy Awards come miglior film straniero, non riuscendo però ad arrivare nella cinquina finale.
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