Home Rubriche Oriente Il maleficio del dubbio: The Wailing (2016)

Il maleficio del dubbio: The Wailing (2016)

Recensione a cura di Luca Busani.

Siamo in un villaggio montano della Corea del Sud, dove una strana patologia sta colpendo la sua popolazione: chi ne viene contagiato, prima viene colto da un accesso di violenza, poi degenera in uno stato catatonico e, infine, quasi sempre muore.
Il poliziotto incaricato delle indagini viene coinvolto personalmente, perché sua figlia contrae la misteriosa malattia e inizia a manifestare strani sintomi, affini alla possessione demoniaca.
Tutto sembra condurre a un misterioso giapponese, che vive ai margini della società ed è considerato dai suoi concittadini latore del maleficio. La situazione si complica ulteriormente quando l’uomo muore e lo sciamano, chiamato ad esorcizzare la bambina, deve affrontare forze oscure di portata a dir poco sovrumana.

Dopo la parentesi umana e iper-drammatica di “The Yellow Sea”, con The Wailing Na Hong-jin torna al “giallo alla coreana” dei suoi esordi e decide di accentuare i toni neri di “The Chaser”.
Abilità formale a parte, i punti in comune con la sua produzione precedente finiscono qui: se la prima parte ha i toni di un thriller violento e sanguinoso, la seconda vira decisamente verso l’orrore più cupo e inquietante, fatto di entità demoniache e colpi di scena davvero imprevedibili.
Si tratta quindi di un film complesso e, al riguardo, la dice lunga la sua durata complessiva: un horror di quasi tre ore si è visto davvero di rado, eppure in sala il tempo vola e si arriva alla fine della proiezione senza aver avuto un istante di tempo per guardare l’orologio.

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Il protagonista Kwak Do-won alle prese con la figlia ammalata.

Se la fotografia è rigorosa nel suo livore e la regia è funzionale nella sua essenziale efficacia, è proprio il montaggio a valorizzare l’insieme, senza frenesia ma anche senza fronzoli, culminando in un paio di climax davvero memorabili (in particolare, uno in corrispondenza dell’esorcismo centrale e uno nell’escalation finale).

Quello che, però, rende The Wailing uno dei film migliori dell’anno appena conclusosi è che abbina a questa forma impeccabile anche un contenuto di grande interesse e attualità. Siamo nella Corea più rurale e sperduta, ma la storia potrebbe essere tranquillamente trasposta nel Midwest americano, in Scandinavia o nella provincia italiana.
La paura su cui fa leva il film è una delle più ataviche, insanabili e universali dell’umanità e non ha nulla a che vedere con bambine dai lunghi capelli neri o strane maledizioni telematiche; questa è la paura del “diverso” che alimenta l’odio razziale (per chi non lo sapesse, ricordiamo che tra coreani e giapponesi non è mai corso buon sangue) e l’intolleranza religiosa (in questo caso tra cristianesimo e muismo). Ed è proprio la religione che a un certo punto si mette in mezzo, con la sua componente più retrograda e al limite della superstizione.

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Talvolta anche un rastrello può togliere grossi pensieri…

Si tratta di una paura che, a sua volta, si alimenta dell’infinità di dubbi che sorgono spontanei anche negli spettatori, e concorrono ad aumentare l’efficacia dei colpi di scena del -formidabile- finale: l’anziano giapponese si rivelerà vittima o carnefice? Potrà esserci una spiegazione razionale degli eventi e della malattia? E contro di essa, sarà più efficace la religione cristiana o lo sciamanismo muista? E soprattutto, sarà proprio l’uso della ragione che permetterà di risolvere l’ingarbugliata matassa, oppure la fede religiosa avrà la meglio?

Non vi sono, invece, dubbi sull’imprescindibilità della visione di The Wailing, un film -anzi, un filmone- che piacerà tanto agli estimatori del cinema asiatico e della sua estetica, quanto a quelli dell’orrore multiculturale e fuori dagli schemi.