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Le Vite degli Altri – La realtà oltre la finzione

In parte spy-story e in parte thriller psicologico, Le vite degli altri (Das Leben der Anderen) opera prima del regista tedesco Florian Henckel von Donnersmarck, resta un oggetto misterioso.

Per prima cosa spunta dal nulla. Brillante esordio di un regista sconosciuto e di cui si fa fatica a pronunciare il nome. Ma ciò che maggiormente sorprende di questo film è quello di riuscire a confezionarsi impeccabilmente utilizzando una struttura narrativa classica. Quasi wester, man vs man. Due protagonisti che a differenza però dai film di Leone, non si guardano mai negli occhi, ma a cui spetta una stimolante dialettica simmetrica tra microspie e messaggi subliminali.

Siamo nella Germania dell’Est prima della caduta del muro di Berlino. Un paese controllato dalle spie della Stasi (Ministero per la Sicurezza dello Stato), a ragion veduta, temuto organo di sicurezza e spionaggio interni.

Gerd Wiesler (Ulrich Mühe), un capitano e ingranaggio fondamentale di tale struttura repressiva, viene incaricato di spiare Georg Dreyman (Sebastian Koch). L’intellettuale ed autore teatrale, è infatti troppo vicino alla cultura e ai salotti della Germania dell’Ovest. Compito non facile perché Georg è apparentemente molto attento e ligio ai dettami dei compagni della DDR. Lui e la sua compagna e musa, l’attrice Christa-Maria Sieland (Martina Gedeck), conducono una vita in bilico. Fermi a metà strada tra l’accettazione dei dogmi socialisti e la voglia di opporsi al regime dittatoriale. A cambiare le cose per sempre sarà Albert Jerska (Volkmar Kleinert), un vecchio amico di Dreyman e regista delle sue opere teatrali, già da anni impossibilitato a lavorare per via delle sue idee politiche. L’uomo, ormai esausto e disilluso, decide di suicidarsi spingendo Georg a scrivere un articolo dissacrante e fermamente contrario al Partito, senza sapere però di essere ancora spiato dal capitano Gerd Wiesler.

Le vite degli altri è stato senza dubbio uno dei principali film della stagione 2006/2007, tra incassi stellari al botteghino e trionfi nei vari festival internazionali fino alla vittoria del Premio Oscar come Miglior Film Straniero.

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Il punto di forza del film è stato il non fermarsi al semplice compitino da spy story serrata. Montaggio impeccabile e dalla livida fotografia della Berlino dell’Est. La pellicola di von Donnersmarck è infatti andata ben oltre. C’è una riuscita speculazione intellettuale sulla disumanizzazione del potere, ma anche un’impietosa condanna politica che lascia poco spazio ai revisionismi storici da parte dei nostalgici da cortina di ferro. Ma la volta del film è senza dubbio la parabola del personaggio interpretato dal bravissimo e compianto Ulrich Mühe. Il personaggio vira in maniera credibile da freddo e spietato agente della Stasi ad empatico complice dell’intellettuale Georg. La storia vera di Mühe è forse ancora più affascinante del film e strettamente interdipendente ad esso. L’attore infatti alla caduta del muro di Berlino trovò negli archivi della Stasi alcuni documenti che lo riguardavano. Mühe scoprì infatti di essere stato spiato dalla moglie la bellissima attrice Jenny Gröllmann, di fatto una Inoffizieller Mitarbeiter, collaboratrice non ufficiale della Stasi.

Quando all’attore fu chiesto come si fosse preparato per il suo ruolo di Gerd Wiesler , la risposta fu: “ho ricordato”. Jenny Gröllmann morì ad appena 59 anni per una malattia incurabile, similmente pochi mesi dopo, stessa sorte toccò a Mühe che fece giusto in tempo a presenziare alla serata degli Oscar.

Quando la vita va ben oltre la finzione…