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La donna che canta – La guerra secondo Villeneuve

“La morte può essere un inizio”. In effetti così avviene e dal decesso di Nawal Marwan (Lubna Azabal) inizia la vicenda. Siamo in Canada e un notaio legge le ultime volontà della donna ai suoi due figli. Jeanne e Simon, gemelli, molto legati tra di loro e davanti alla decisione di ripercorrere l’esistenza della vita della loro defunta madre.

Nel testamento ci sono due lettere da consegnare al loro fratello (di cui i due ragazzi ignoravano l’esistenza) e una seconda diretta al padre, che pensavano morto anni prima. Jeanne accetta questo compito e si reca in Libano. A questo punto la sceneggiatura si sdoppia e giocando sull’incredibile somiglianza di madre e figlia. Ripercorre infatti, non solo le indagini di Jeanne, ma anche la tumultuosa vita di Nawal. La donna, cristiana, s’innamora di un uomo non cristiano e si scontra contro il volere della famiglia. Quando poi rimane incinta, le viene sottratto il bambino ed è costretta a fuggire per aver disonorato l’intera comunità.

Anni dopo Nawal fa ritorno a casa. I tempi sono cambiati. E’ infatti scoppiata la guerra civile libanese che durerà dal 1976 fino al 1990. Un conflitto che provocherà, fra civili e militari, più di 150.000 morti. Nawal da cristiana e intenzionata a vendicarsi della causa (“Voglio insegnare al mio nemico quello che ho imparato dalla vita”), si unisce ad un pericoloso gruppo radicale, fortemente militarizzato. Approfittando del giusto momento uccide un importante leader politico cristiano. Da quel momento la sua vita diventa un incubo che si conclude con la gravidanza proprio dei due gemelli, frutto della violenza fisica e sessuale subita durante la prigionia. Una rivelazione che sconvolgerà Jeanne e Simon, che intanto ha raggiunto la sorella. Ma le sorprese non finiscono qui, in un finale incredibilmente sconvolgente.

La solidità della pellicola, la quarta del regista canadese Denis Villeneuve dopo il sorprendente Polytechnique, è figlia di una pièce teatrale scritta da Wajdi Mouawad. L’autore, libanese naturalizzato canadese, regala a Villeneuve una solidissima sceneggiatura.

Incendies, distribuito in Italia col titolo La donna che canta (in riferimento alle nenie di Nawal durante gli anni di prigionia) ha ricevuto la nomination come miglior film straniero ai premi Oscar 2011. La storia è ispirata alla vita di Souha Fawaz Bechara attivista e scrittrice libanese, che all’età di ventuno anni, tentò di assassinare il generale Antoine Lahad dell’Esercito del Libano del Sud.

Ovviamente il film ha poco di autobiografico e viene romanzato fino a farla diventare una tragedia classica e dalla intollerabile violenza fratricida, bellica tanto quanto strettamente psicologica ed umana. Villeneuve ha il grande merito di mostrare l’atrocità della vicenda senza risparmio ma neanche senza calcare la mano. Alcuni vezzi estetizzanti della pellicola anzi riescono a esaltare maggiormente la drammaticità della storia.

Come ad esempio l’incipit spiazzante privo di titoli e seguito da un primo piano in stile “Ragazza afgana” di Steve McCurry sulle note della splendida You And Whose Army? dei Radiohead.

 

Dalle parole di Thom Yorke & Co estraiamo la frase:”Voi e l’esercito di chi? Voi e i vostri amiconi. Dai, dai, Sacro Romano Impero! Venite, se volete. Potete prenderci tutti”. Quasi a voler ribaltare il fine ultimo del film, universalizzando il tema e puntando il dito nei confronti di tutte le parti di un conflitto che non ha e non avrà mai né buoni e né cattivi, ma solo vittime.