Home Speciale Interviste JAMovie incontra: Carlo Fusco, produttore, regista e sceneggiatore.

JAMovie incontra: Carlo Fusco, produttore, regista e sceneggiatore.

Oggi su JAMovie vi proponiamo l’intervista fatta da Andrea Giostra al produttore, regista e sceneggiatore Carlo Fusco.

Ciao Carlo, benvenuto e grazie per la tua disponibilità.
Se volessi presentarti ai nostri lettori cosa racconteresti di te quale artista della settima arte?

Carissimo Andrea, è doveroso fare una premessa, sono molto felice della tua intervista in quanto ritengo che tu sia uno dei pochi redattori italiani in grado di entrare nel vivo di un artista.

Mi ritengo un uomo di mezza età che nonostante tutti i problemi della vita quotidiana ancora in grado di sognare ad occhi aperti, di credere nell’impossibile per renderlo possibile, di rendere felici altri artisti seppur nel mio piccolo mondo. Nel mio lavoro alcune volte mi rendo antipatico e testardo ma anche molto disponibile.

Qual è stato il tuo percorso artistico per diventare regista affermato? Quali le tappe più importanti della tua carriera che vuoi ricordare ai nostri lettori?

Provengo da una famiglia del sud, semplice, mia madre casalinga, mio padre operaio. Sono nato a Potenza una cittadina nel bel mezzo della Basilicata, quando ero adolescente parlare di cinema come possibile professione non era pensabile.
Da bambino, fino all’età di 12 anni il mio sogno era quello di fare il poliziotto o l’avvocato in quanto credevo fossero al servizio dei più deboli. Poi un giorno per la prima volta andai con un mio amico a vedere un film al cinema KARATE KID 3, quello schermo immenso, l’audio, la musica, i colori… Uscito da lì cominciai a pensare che avrei fatto cinema, non avevo le idee chiare, ovviamente non sapevo nemmeno da dove cominciare, ma il mio obiettivo era fare un film. Questo mio amore lo tenni in segreto, svani con il passare degli anni perché cominciavano a farsi avanti altri interessi. Una volta preso il diploma decisi di trasferirmi a Roma per intraprendere l’indirizzo di giurisprudenza all’Università La Sapienza. Per me Roma era qualcosa di indescrivibile, la gente, il traffico, la libertà. Cominciai a studiare per il mio primo esame e a lavorare per mantenermi. Fatto l’esame di diritto privato successe qualcosa… casualmente andai a vedere una lezione di teatro presso un centro sociale e li presi il virus… Cominciai a frequentare il cinema AZZURRO SCIPIONI di Silvano Agosti e il maestro Nico D’Alessandria con il quale iniziai a lavorare. Un giorno Silvano mi regalò un libro che si chiamava COME FARE UN FILM, lessi il libro e feci il film, attenzione non un cortometraggio ma un vero e proprio lungometraggio di 90 minuti.
Feci praticamente tutto, dalla A alla Z, mi costò complessivamente sui 900 mila lire (circa 450 euro).
Lo portai a Silvano e lui sbalordito mi premiò facendo uscire nella sua sala a Roma e Brescia.
Ovviamente il film aveva le sue pecche tecniche, vi assicuro non è stato facile ricoprire tutte le maestranze, feci regista, fonico, direttore della fotografia, operatore e anche l’attore…
Questa credo sia stata la tappa più importante e decisiva della mia vita, tralasciando le altre non meno importanti ma non decisive, arrivo alla seconda tappa che mi ha aperto nuovi orizzonti.
Desideravo tanto visitare il Festival di Cannes, avevo 20 anni, pensavo fosse semplice, credevo che bastasse andare lì, dire che avevo fatto due film come regista ed entrare… Beh!… non fu proprio così.
La pazzia mi porto a partire con la mia vecchia macchina e poche lire in tasca, arrivato a Cannes trovai molti ostacoli, hotel costavano troppo, non avevo il pass per entrare, la prima notte dormii in macchina, il dì seguente girovagavo con la speranza di entrare al mercato, approfittati dall’entrata posteriore che dà sulla riviera della distrazione di due addetti alla sicurezza ed entrai, tutti quegli stand mi affascinarono, finché non venni pizzicato e accompagnato fuori.
La sera mi successe qualcosa di meraviglioso, incontrai l’attore Van Damme in un pub con la scusa di un autografo rimasi a parlare con lui, al ritorno alla mia auto-hotel trovai una brutta sorpresa, dei vandali erano saliti e sfondato la cappotta della mia vecchia auto. Il dì seguente mi presentai al comune e sempre casualmente parlai con il vicesindaco all’epoca un uomo di origini siciliane che mi fece rimborsare il danno dal comune, mi fece avere un pass e mi fece ospitare due notti in un hotel.
Cannes fu per me un sogno, capii tante cose, incontrai tanta gente da lì mi partì l’idea che dovevo fare un film con attori internazionali.
Da qui comincio la mia avventura, riuscii a fare VENTO DI SICILIA con soldi privati inserendo star Americane quali Danny Glover, Michael Madsen, John Savage, Steven Bauer.
Raccontarvi ora come trovai soldi e questi attori sarebbe troppo lunga, un giorno ne farò un film, vi anticipo solo con molte difficoltà, testardaggine, ma realizzai il mio sogno, dirigere star Americane in un mio film indipendente senza l’ausilio del Ministero, senza pregare nessuno, ma solo con il mio sudore e la mia forza di volontà.
Poi da lì ho diretto altri film importanti, sottolineo The Slider per il quale sono stato molto intuitivo a scegliere l’attrice giusta Ieva Lykos, scommettendo sulla sua bravura e affiancandola con attori importanti quali Bruce Davison e Tom Sizemore.
Il film è stato distribuito dalla SONY.

Se potessi scegliere tre registi italiani e tre di non italiani con i quali lavorare, chi sceglieresti e perché?

Sinceramente non amo le co-regie, ad ogni modo non vorrei lavorare con nessun regista italiano.
Registi stranieri, mi piacerebbe lavorare con Quentin Tarantino, David Lynch ed Emir Kusturica.
Li considero dei pazzi scatenati con i quali penso starei a mio agio e dai quali potrei imparare molto.
Mi piacerebbe invece dirigere Al Pacino, Meryl Streep e Anthony Hopkins per i quali avrei già una storia da sviluppare.

«Tutti i film che ho realizzato sono partiti dalla lettura di un libro. I libri che ho trasformato in film avevano quasi sempre un aspetto che a una prima lettura mi portava a domandarmi: “È una storia fantastica; ma se ne potrà fare un film?” Ho sempre dei sospetti quando un libro sembra prestarsi troppo bene alla trasposizione cinematografica. Di solito significa che è troppo simile ad altre storie già raccontate e la mente salta troppo presto alle conclusioni, capendo subito come lo si potrebbe trasformare in film. La cosa più difficile per me è trovare la storia. È molto più difficile che trovare i finanziamenti, scrivere il copione, girare il film, montarlo e così via. Mi ci sono voluti cinque anni per ciascuno degli ultimi tre film perché è difficilissimo trovare qualcosa che secondo me valga la pena di realizzare. (…) Le buone storie adatte a essere trasformate in un film sono talmente rare che l’argomento è secondario. Mi sono semplicemente messo a leggere di tutto. Quando cerco una storia leggo per una media di cinque ore al giorno, basandomi sulle segnalazioni delle riviste e anche su lettura casuali.» (tratto da “Candidamente Kubrick”, di Gene Siskel, pubblicato sul Chicago Tribune, 21 giugno 1987). Partendo da queste parole di Kubrick, come fai tu a scegliere una storia tratta da un romanzo, da un libro, da una sceneggiatura, per poi investire e lavorarci per farne un film? cosa ne pensi di quello che dice Kubrick? Cosa deve possedere secondo te una storia perché possa diventare un buon film?

Sinceramente ammiro Kubrik, lo considero uno dei geni della storia del cinema, ma per quanto riguarda le sceneggiature, preferisco leggerne tante finché non trovo quella che per me va bene. Scrivere una sceneggiatura traendola da un libro non credo possa essere il mio forte. Credo che la cosa migliore sia partire da un’idea e scriverci una storia di sana pianta, solo cosi posso dire di poter mettere anima e corpo, di poter girare come mi pare. Non è facile dire cosa debba avere una storia per essere un buon film, purtroppo diventa tutto molto soggettivo, quello che voglio dire è che per me una storia può diventare un buon film ma lo sarà solo di nicchia, l’alternativa è pensare di fare un film che faccia botteghino e quindi ripiegarsi su una commedia comica o un film d’azione. Le vere storie, a parer mio, sono fatte per scegliersi un pubblico, ma solo cosi come regista posso esprimere tutto quello che voglio, ovviamente non basta la storia ma è tutto il contesto che rende un film buono. Ovvero cast giusto, colonna sonora, montaggio, fotografia. Personalmente amo i thriller psicologici, anche se mi sono avventurato anche in altre tipologie. Credo che gli sceneggiatori detestino il mio modo di lavorare in quanto ho il vizio di trasformarle per creare i miei personaggi, insomma metto la storia al servizio degli attori e non il contrario.

«Il cinema deve essere spettacolo, è questo che il pubblico vuole. E per me lo spettacolo più bello è quello del mito. Il cinema è mito». Sergio Leone (1929-1989). Cosa pensi di questa frase detta dal grande maestro Sergio Leone? Cosa deve essere il cinema per chi lo crea e per chi ne gode da spettatore?

Sergio Leone ha pienamente ragione, il mito fa sognare il pubblico, nel bene o nel male, lo spettatore deve in qualche modo rivedersi nel personaggio anche se nel suo piccolo e con sfaccettature diverse. Credo che il segreto sia far affezionare il pubblico ad un personaggio anche se trattasi di un cattivo. Bisogna riuscire a far amare oppure odiare un personaggio, il pubblico deve uscire dal cinema e pensare e ripensare a quell’attore come dicevo nel bene o nel male. La stessa cosa vale per il film in se, deve suscitare delle emozioni che vadano oltre il limite, per non restare nel mediocre. Tanti vanno al cinema per svagarsi, per non pensare ai problemi, per divertirsi… io amo invece far piangere, far soffrire per la storia a costo di perdere pubblico. Insomma, non sono fatte per me le commedie comiche, soprattutto se di quell’umorismo banale e volgare a cui siamo abituati negli ultimi 20 anni in Italia.

«Il cinema lo chiamerei semplicemente vita. Non credo di aver mai avuto una vita al di fuori del cinema; e in qualche modo è stato, lo riconosco, una limitazione.» Bernardo Bertolucci (1941-2018). Qual è la tua posizione da addetto ai lavori, di chi il cinema lo vive come professione ma anche come passione, rispetto alle parole di Bertolucci? Oltre ad essere un’arte, cos’è il cinema per te?

Credo sia impensabile fare cinema solo per professione, quasi impossibile, soprattutto per alcune figure. Il regista, come del resto l’attore, deve obbligatoriamente metterci del suo con tanto di passione, amore e sofferenza. Per me il cinema è come una vita parallela della quale non riesco a farne a meno, a volte lo odio, ci litigo, lo detesto, ma poi ritorno sui miei passi. Credo che ad un certo punto della vita diventi l’ombra di chi lo fa, il guaio è che io credo di non aver scelto il cinema ma è il cinema ad aver scelto me e ogni giorno mi dà lezioni di vita diverse e la possibilità di esprimere me stesso, quello che ho dentro.

Perché secondo te oggi il cinema è così importante? Importante per la società dei nostri giorni?

 Il cinema è più importante per chi lo fa che per chi lo vede. Certo immaginare un mondo senza cinema sarebbe molto triste, peccato stia un po’ svanendo con l’arrivo di Netflix, Amazon prime, ect ect… Tanti anni fa andare al cinema era un evento magico, oggi un po’ meno, si sta seduti in poltrona e si vede una serie, l’emozione non è la stessa. Grazie al cinema si possono scoprire tante cose che i mass-media nascondono, sempre che non vengano distorte dal distributore di turno che costringe a fare alcuni tagli.

Oggi il pianeta dell’arte, della produzione e della distribuzione cinematografica si sta sviluppando in versioni al passo coi tempi dell’Homo Technologicus. Questa evoluzione, per certi versi darwiniana, è certificata dalle più recenti indagini di mercato e ricerche scientifiche sul consumo della cultura della settima arte che vede superare abbondantemente coloro che si nutrono di cinema attraverso i canali in streaming, internet e pay TV (oltre il 60%, dei quali la maggioranza sono soprattutto i cosiddetti Millennial) da coloro che ne gustano la visione presso le sale tradizionali che appartengono soprattutto ai nati del Novecento (meno del 40%). Dati oggettivi che molti osservatori e critici cinematografici geriatrici contemporanei sottovalutano cercando di resistere a questo futuro che oramai ha preso il sopravvento. Da produttore cinematografico quale sei, cosa pensi di questo fenomeno, di questa realtà in così forte evoluzione? Come deve muoversi un produttore che vuole rimanere al passo coi tempi? E tu cosa fai in proposito con le tue produzioni?

Sinceramente non amo affatto questo tipo di evoluzione, sul cinema la penso un po’ all’antica e tutto ciò mi turba moltissimo. Solo al pensiero che un giorno tutto sarà sostituito dai computer, compresi gli attori, mi fa venire il mal di testa. Io personalmente continuerò a lavorare per la mia strada e quando mi renderò conto che non si potrà più, abbandonerò la settima arte perché non sarà più il mio amato cinema.

A cosa stai lavorando in questo momento? Quali i tuoi prossimi appuntamenti di lavoro?

In questo momento mi sto concentrando al Marche Du Film De Cannes, con la mia società, la LYKOS FILM. Stiamo portando il nostro ultimo film, una coproduzione. PARADISE VALLEY, inoltre, con la mia socia nonché sceneggiatrice e attrice Ieva Lykos, stiamo portando alcuni progetti molto interessanti con l’intento di co-produrli, fra i diversi cito L’ULTIMO CODICE scritto da Ieva per il quale vorrei come protagonista maschile Michael Shannon. Il mio futuro? Lo vedo in America, credo che qui in Italia ci sia poco spazio per me.

Immagina una convention all’americana, Carlo, tenuta in un teatro italiano, con qualche migliaio di adolescenti appassionati di cinema. Sei invitato ad aprire il simposio con una tua introduzione di quindici minuti. Cosa diresti a tutti quei ragazzi per appassionarli al mondo della settima arte? Quali secondo te le tre cose più importanti da raccontare loro sul cinema?

Sinceramente sarei la rovina dell’organizzatore, in quanto sarei molto schietto e sincero con i partecipanti, li metterei in guardia a cosa vanno incontro, ingiustizie, compromessi, sconfitte, periodi bui, produttori e registi che fanno cinema solo per portarsi a letto le attrici, insomma un disastro. Alla fine direi loro di guardare nel loro cuore e se sono disposti a superare tutto ciò, oltre che ad immensi sacrifici, di non mollare mai il proprio sogno e di puntare in alto… chi ha talento prima o poi emerge.

E per concludere alla grande, un saluto speciale:

Carlo Fusco

https://www.imdb.com/name/nm3733685/

https://www.facebook.com/carlofuscodirector

Intervista di Andrea Giostra