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Intervista al regista Paolo Mariello

Buongiorno Paolo! Come, quando e con quali film è cominciata la tua passione per il cinema?

La passione per il cinema è nata in giovane età, quando da ragazzino, negli anni ‘70, mi divertivo a collezionare riviste di cinema e a tenere un diario con le recensioni di tutti i film che guardavo. Riminese anch’io, posso stabilire un po’ arbitrariamente l’inizio della mia passione con i film di Federico Fellini. “I vitelloni”, “La dolce vita”, “Otto e mezzo”, “Amarcord”, fino all’ultimo “La voce della luna”.

Di grande importanza per me anche i lavori di Vittorio De Sica, Mario Monicelli e Pierpaolo Pasolini. Successivamente arriva Dario Argento, tutt’ora uno dei miei più grandi ispiratori. Molta influenza hanno avuto su di me e in quanto spettatore e in quanto regista film come “Profondo Rosso” e “Suspiria”. Un altro colosso è poi Sergio Leone. “C’era una volta in America” è forse l’esempio più grande di connubio tra cinema e musica per immagini a cui doversi ispirare.

Nel panorama internazionale invece sono stati per me di grande rilievo maestri come Alfred Hitchcock e Stanley Kubrick. Di loro voglio menzionare rispettivamente “Psyco” e “Shining”. Film più moderni che invece hanno avuto eguale importanza per la mia passione sono sicuramente “Pulp Fiction” di Quentin Tarantino, “Quei bravi ragazzi” di Martin Scorsese ed “Il principe delle maree” di Barbra Streisand. Tornando in Italia, ho invece molta ammirazione per i lavori di Pupi Avati.

Prima di diventare un regista, sei stato (e sei) un musicista. Ci puoi parlare di questo aspetto, per ora dominante della tua attività artistica?

La mia natura e professione di musicista, nel bene e nel male, è un aspetto preponderante in tutta la mia attività artistica. Ho iniziato studiando al Conservatorio G. Rossini di Pesaro, mi sono diplomato in Contrabbasso. Poi ho iniziato la vita del musicista nei locali notturni. Dopo aver aperto diversi studi di registrazione, mi sono dedicato maggiormente alla composizione ed all’arrangiamento, fino ad arrivare alla musica per immagini.

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Ho così unito la mia passione per il cinema al mio lavoro, ho iniziato a partecipare ad alcuni concorsi per colonne sonore, a volte vincendo, a volte imparando. Da lì ho collaborato con diversi autori, cineasti e videomaker indipendenti come compositore per diversi corto e mediometraggi. Da questa fase per così dire di latenza, ho intrapreso in maniera del tutto autonoma il lungo e periglioso percorso del regista. Sarebbe impossibile ed anche privo di senso, tuttavia, dimenticare le mie origini di musicista. Anche per questo la colonna sonora è sempre un elemento di grande rilievo in tutti i miei lavori.

Nel 2012 giri il tuo primo cortometraggio, “Strigae Mali”, che parteciperà al David di Donatello. Ci puoi parlare meglio di questo progetto?

“Strigae Mali” è stato il mio primo lavoro, a parte un paio di precedenti cortometraggi ‘di prova’, e pertanto risente dei limiti e dei pregi di ogni esordio. E’ stato un progetto piuttosto ambizioso, con una sceneggiatura molto complessa e scene di difficile realizzazione. Tuttavia scontrarmi con molte difficoltà tecniche mi è sicuramente stato di aiuto per imparare e fare esperienza in un campo così arduo.

Il fulcro del cortometraggio ruota attorno alle figure di tre streghe e del cosìddetto Cercatore, un uomo che non può morire a causa delle stesse. Lo reputo un lavoro piuttosto forte, con simbolismi se vogliamo banali, ma efficaci. Le stesse scene hanno contenuti di natura horror. Tutto il lavoro risente secondo me di una sorta di ‘aura’ occulta. La partecipazione al David di Donatello è stata cosa molto gradita. Sono contento di aver mosso i miei primi passi con questo cortometraggio, da cui è tuttavia necessario prendere le distanze per poter crescere e migliorare.

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Il progetto “Strigae Mali” ha dato poi via ad un altro progetto, ben piu’ ambizioso: una trilogia di film. “The guise”, “Come stanno i miei piccoli” e “Aunts”…

La trilogia è forse un progetto ancor più ambizioso ed altrettanto complesso. I tre titoli sono nati in maniera strutturale e per così dire sequenziale: alcuni elementi e complessi di elementi all’interno di “The Guise”, un thriller vecchio stile che racconta gli omicidi di un assassino, hanno dato vita al secondo lavoro, “Come stanno i miei piccoli”. Quest’ultimo mantiene ancora la natura di thriller del suo antecedente, nonostante l’accento non sia più posto su una figura omicida, bensì sul tema dell’abuso dei minori e sull’investigatrice che ne è protagonista.

Infine, il terzo titolo anglofono suggerisce una sorta di ciclicità della trilogia. Come una sorta di ritorno all’origine, ritorno che tuttavia non avviene mai completamente. “Aunts” è infatti quello che si discosta maggiormente dagli altri due. E’ questo un lavoro tra il grottesco ed il giallo, tra lo splatter e la commedia. Racconta la vita di due ‘zie’ e della loro abitazione in cui avvengono fatti e situazioni piuttosto particolari. Anche questo ha origine da elementi intestini del precedente lavoro, ed all’interno della trilogia è forse quello più accattivante.

Nei primi 2 episodi della trilogia parteciperanno attori importanti. Ce ne puoi parlare?

Gli attori sono parte fondamentale di tutti i miei lavori. Mi piace considerarli per quello che sono piuttosto che per quanto siano famosi o meno. L’importanza di un attore è per me l’importanza che riesce a dare al suo ruolo nei miei film. Gran parte della trilogia, specialmente in “Aunts”, è nata in realtà a partire dagli attori stessi e dalla loro capacità innata, spesso inconsapevole, di evocare personaggi. Di riuscire a ‘viverli’ già dentro di loro ancor prima che per mezzo della recitazione.

Nel corso dei nostri progetti, come nei primi due titoli della trilogia, abbiamo comunque avuto modo di lavorare anche con attori che hanno grande importanza nel panorama cinematografico e teatrale italiano. Gianluca Palisi, Daniele Russo, Costantino Comito, Nika Urban, Paola Sini, Cinzia Mazzoni, Franca Venturini, Lorenzo Schiesaro, Valentina Bivona, Veronica Cecchini, Claudio Paffetti, Cristina Benfenati, Ivan Bellandi, Michael Segal, Omar Roffilli, Stefania Pecchini, Rita Rusciano, Carlo Jack Trevisan, Michele Abbondanza, Riccardo Benghi, Ilenia Bianchi, Cinzia Roberti, Arianna Zanelli e Chiara Alessandrini.

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Al di là della trilogia, stai lavorando anche ad altri progetti di corti o lunghi?

Purtroppo, o per fortuna, sono alla costante ricerca di nuove idee, nuove impressioni, nuovi progetti in cui imbarcarmi. E’ qualcosa che da una parte limita la mia attenzione e la mia capacità di concentrarmi su un unico lavoro. Dall’altra mi permette di essere in una specie di continuità creativa da cui si generano molte immagini nuove. Per questo ritengo di essere continuamente all’opera, ed un nuovo progetto potrebbe nascere da un momento all’altro. L’idea di lavorare ad un lungometraggio, ad esempio, è qualcosa a cui arriverò in futuro. I limiti economici e di mezzi impongono che ci si dedichi dapprima a progetti più contenuti e corto/mediometraggi. Anche per quanto riguarda le collaborazioni, ho lavorato e continuo a lavorare come compositore per diversi cortometraggi.

Quali sono i film italiani che ti sono piaciuti di piu’ negli ultimi anni?

Negli ultimi anni ho apprezzato molto i film, spesso un po’ eclettici, di Pupi Avati. In particolar modo “Gli amici del bar Margherita”. Film dal genere indefinibile che rispecchia la grande genialità e lo sguardo farsescamente realistico del regista. Di diverso tenore è invece “La grande bellezza” di Paolo Sorrentino, a mio avviso giustamente acclamato come un moderno Fellini. Di quest’ultimo ho infatti apprezzato molto  l’oniricità e l’assurdità felliniana, oltre alla realizzazione tecnica di grande spessore.