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Intervista al regista padovano Giuseppe Ferlito!

Buongiorno Giuseppe! Come, quando e con quali film è cominciata la tua passione per il cinema?

Buongiorno! Mi sono innamorato del cinema fin da piccolo, rimanevo alzato con mia madre e mio fratello a vedere film di ogni tipo, dai classici ai più moderni. Ricordo con chiarezza che il primo film che vidi a casa, da solo, fu “La guerra dei bottoni” di Yves Robert. Mentre il primo film che ricordo di aver visto al cinema con la mia famiglia fu “E.T. l’extraterrestre”. Un’esperienza incredibile, alla luce anche di quella che poi è stata la mia scelta lavorativa.

Dopo esserti laureato a Padova in Scienze Politiche, ti trasferisci a Milano. A Milano lavori nel campo della pubblicità e nei videoclip. Questo tipo di esperienze lavorative sono state in qualche modo formative per la tua futura attività di regista per il cinema?

Si, ho vissuto a Milano, dove ho iniziato a lavorare nella pubblicità e nei videoclip, muovendo i miei primi passi nell’audiovisivo. E’ stato un periodo molto formativo, durante il quale ho fatto la gavetta. Sono partito infatti dal gradino più basso,  portando i caffè sul set ai membri della troupe ed agli attori. Ho un ottimo ricordo di quel periodo. Pur essendo molto giovane potevo stare a fianco di grandi professionisti, cercando di apprendere da loro, ben più esperti di me, il più possibile. Il mio entusiasmo era tale che ogni reparto mi attraeva.

Questo mi ha permesso di comprendere la reale importanza di ciascuno di loro. Non esistono, infatti, reparti più o meno importanti, sono tutti  necessari alla buona riuscita di un film. Conoscere perfettamente le debolezze e i punti di forza di ogni specifico reparto è fondamentale per un regista, affinché intervenga al momento giusto. Un film, seppur diretto dal regista,  è il frutto di un lavoro di squadra.

Successivamente ti trasferisci a Roma, e lavori a Cinecittà, collaborando con registi italiani e stranieri molto famosi. A livello emozionale com’ è stato trovarsi sullo stesso set di alcuni “pezzi da 90” del cinema italiano ed internazionale?

E’ stato assolutamente emozionante. La passione per il proprio lavoro, se da un lato ti spinge a dare il massimo, in termini di impegno e fatica, dall’altro non te ne fa avvertire il peso. Credo proprio che i “grandi” siano tali perché grande è la loro passione. Per venire alla tua domanda,  nei miei ricordi, ad esempio, un posto speciale ha l’esperienza lavorativa vissuta a fianco di Vittorio Storaro. Alla sua età ha più grinta ed energia di qualsiasi ventenne. Così come  mi ha colpito Harvey Keitel, e la sua inusuale capacità di entrare nel personaggio. O ancora John Travolta  la cui magia ed il cui carisma sono immediatamente percepibili.

Ricordo inoltre la semplicità e la genuinità  di stars come Ridley Scott, Penelope Cruz, Charlize Theron o Javier Bardem. Questi sono alcuni degli artisti, che ho avuto la fortuna di conoscere, o con i quali ho avuto la fortuna di lavorare. E’ un mondo straordinario, nella sua unicità, che ti permette di entrare in contatto con perone incredibili. Altro esempio Mickey Rourke, artista che già prima di conoscere personalmente, apprezzavo moltissimo a livello professionale.

Nel 2010 sceneggi il film “88” di Jordi Mollà. Un film che ho trovato davvero bellissimo. Che tipo di esperienza è stata?

“88” per me è un film speciale, non tanto per la pellicola stessa, quanto per quello che ci sta dietro. “88” è il frutto di cinque anni di duro lavoro al fianco dell’amico fraterno Jordi Mollà. Con lui c’è un rapporto che non esiterei a definire familiare.  In quei cinque anni io e Jo abbiamo messo mano alla sceneggiatura innumerevoli volte, scrivendo svariate revisioni. Approfittavamo dei tempi morti di shooting nei quali avevamo la fortuna di lavorare insieme al fine di migliorare la sceneggiatura. Abbiamo scritto a Roma, a Los Angeles, a Buenos Aires, a Città del Messico ed in così tante altre città.

So solo che quella sceneggiatura è stata nostra compagna di viaggio e di lavoro per oltre cinque anni. In questo tempo il mio rapporto con Jo si è consolidato in un connubio artistico, di cui sono grato e fiero, ed in un’amicizia fraterna. Professionalmente Jo è un artista a 360 gradi, davvero speciale, che stimo profondamente. Scrivere e dirigere con lui è più una gioia che una fatica e, vi assicuro che le difficoltà sono tante. Scrivere uno script a 4 mani è cosa diversa che scriverlo da solo, tuttavia l’amicizia diventa un valore aggiunto nei momenti di difficoltà professionale.

Nel 2012, correggimi se sbaglio, dirigi il tuo primo lungometraggio: “Presto farà giorno”. Come nasce questo progetto?

No, non ti sbagli! Nel 2012 dirigo il mio primo film in lingua italiana, per l’appunto, “Presto farà giorno” che è un film nel quale racconto una storia tratta da fatti realmente accaduti ed in qualche modo legati alla mia vita nel periodo universitario. E’ una storia che parla di solitudine, di possibilità, di rimpianti, di voglia di emergere o solo di essere. E’ un film che racconta una storia, come tante, ma dentro c’è Giuseppe Ferlito. Questo progetto nasce dal desiderio di raccontare una storia, per molti versi drammatica, al fine di mostrare una via d’uscita.

Nel 2013, tra gli altri, lavori anche per il film sci-fi “Riddick”!! Che ricordo hai di quel set?

La prima cosa che mi viene in mente di Riddick” è il gran freddo che ho patito. Si girava in pieno inverno in Canada, precisamente a Montreal. Per due mesi, in mezzo a tormente di neve e raffiche di vento gelido. Ma suppongo la tua domanda non si riferisse a questo. A parte il freddo, ho un ricordo bellissimo. Tutte le riprese sono state realizzate in uno studio verde (lo stesso dove hanno girato il film “300″). Tutto cio’ poter ricreare gran parte della scenografia solo in un secondo momento, in post produzione. “Riddick” per me ha rappresentato una reale opportunità di crescita, per il modo in cui è stato girato e per le tecniche utilizzate.

Gli attori sono stati bravissimi e Vin Diesel una grande scoperta. Un uomo sensibile e al contempo carismatico. Ricordo come fosse ieri la cena organizzata prima dell’inizio delle riprese. Noi  eravamo tutti seduti, lui ha preso la parola, ed ha fatto uno speech che ha entusiasmato tutti i presenti, per la grinta ed energia che ha saputo trasmetterci. Sapeva che non sarebbe stato un film facile ma ci teneva che facessimo squadra. Mi sono spesso confrontato con lui su argomenti di vita quotidiana e devo dire che è veramente una persona molto positiva e divertente.

Quali sono i film italiani che ti sono piaciuti di più negli ultimi anni?

Tre sono i film italiani che di recente mi hanno colpito: “La grande bellezza”, “Lo chiamavano jeeg robot” e “Perfetti sconosciuti”. Film molto diversi tra loro ma, con in comune, il coraggio tipico dei film italiani del passato, che poi, sono quelli che più amo.

Parallelamente all’attività di regista ti dedichi da anni alla pittura. Hai voglia di parlarcene un po’? Che differenze ci sono per te, a livello mentale, tra l’ideare un quadro e una sceneggiatura?

Lavorando nel cinema vivo periodi di pausa, che spesso si trasformano in frustrazione perché sono incapace di non dare sfogo alla mia creatività. Iniziai a dipingere come rimedio a questa forma di frustrazione. A tutt’oggi ritengo che dipingere per me sia terapeutico perché mi permette di scaricare sul dipinto le emozioni che sto vivendo, di affrontare le mie paure e le mie insicurezze. Non uso una tecnica precisa. Quando dirigo un film cerco di creare emozioni coordinando la troupe e dirigendo gli attori. Nella pittura in qualche modo è più semplice perché devo dirigere solo la mia creatività usando come strumento i colori. Ho esposto le mie opere per la prima volta nel 2013 a Miami, approfittando di una vetrina prestigiosa come quella dell’ Art BASEL.

Successivamente ho esposto in Messico in due differenti occasioni, prima durante la famosa fiera di MACO e poi durante una cerimonia del Global Gift. Nonché a Londra, New York e Los Angeles, e Parigi. Quando dipingo è come se facessi una seduta terapeutica. Mi aiuta a esorcizzare le difficoltà che sto vivendo in quel momento, questo è un aspetto che nel cinema non riesco a vivere. Ho avuto la fortuna di essere apprezzato, fin da subito, come pittore da collezionisti e star del cinema. Devo riconoscere che è strana la sensazione di spedire una propria opera dalla parte opposta del mondo. Soprattutto quando la si invia ad attori che sono icone del cinema e che hanno contribuito a farmi innamorare di questo mestiere. Sapere che oggi alcuni di loro vivono una emozione grazie ad una mia opera è per me una grande soddisfazione.

Stai lavorando ad un documentario in questo periodo?

In questo momento sono impegnato nella realizzazione di un cortometraggio e di due spot televisivi a favore della croce verde di Padova. Entrambi i lavori mi sono stati richiesti da gruppo Antenore dei Lions di Padova ed hanno il fine di sensibilizzare i cittadini per raccogliere donazioni finalizzate all’acquisto di una nuova ambulanza a favore  della croce verde. Abbiamo convolto diversi testimonial locali. Francesco Toldo, Annamaria Malipiero, Lorenza Mario, Monica Vanali, Pippo Maniero,  Vittorio Matteucci, Damiano Longhi, Tony Gallo e Alessio B. Lo spot sarà proiettato in anteprima a Padova in una sala cinematografica.

Stai lavorando,a livello di lungometraggi, su qualche nuovo progetto?

Si, in questo momento sto lavorando, insieme all’amico Jordi Mollà, a due lungometraggi. Uno è Duelo, un horror che dovremmo girare nel 2017 in Messico. L’altro è una storia romantica che vuole essere un inno al cinema Italiano di un tempo. Sia io che Jordi siamo molto legati al cinema dei vari Fellini, Pasolini, Visconti, De Sica. Abbiamo scritto questa sceneggiatura a Los Angeles, al fine di rendere omaggio al cinema Italiano e ai suoi grandi maestri. Un cinema che sembra aver poco a che fare con i film “giganti” di oggi dominati dagli effetti speciali. Entrambi crediamo che quel cinema, fatto di piccole storie, ma ricco di emozioni e poesia non abbia tempo e sia più moderno che mai.