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Intervista a Stefano Lodovichi, regista di “In fondo al bosco”!

INTERVISTA A STEFANO LODOVICHI, REGISTA DI “IN FONDO AL BOSCO”

Buongiorno Stefano, la solita domanda, un po’ banale, che ti avranno posto all’inizio di tante interviste: a che eta’ nasce la tua passione per il cinema, e con la visione di quali film in particolare?

La mia passione per il cinema nasce da piccolo. In famiglia guardavamo di tutto, dalle commedie all’italiana (da parte di mia mamma) agli horror di Carpenter (da parte di mio padre). Ci sono film che mi sono rimasti dentro per motivi differenti e credo che siano quelli che, in qualunque situazione o a qualunque età tu li guardi, ti faranno sempre commuovere. Per fare qualche esempio, ogni volta che guardo FUGA PER LA VITTORIA, E.T. – L’EXTRATERRESTRE, MAMMA HO PERSO L’AEREO, ARMA LETALE, ALIEN e tanti altri film, mi viene da piangere, e raramente riesco a frenarmi. Non posso farci niente e ovviamente non dipende dalla trama: come fai a commuoverti quando un “alien” sfonda lo sterno del giovane John Hurt. Ovviamente in questi casi mi volto verso un angolino per non essere visto che poi mi vergogno, da buon maschio adulto. Ma è il cinema che mi ha sfamato da bambino e per qualche motivo deve essermi rimasto dentro, incastrato da qualche parte.

Come avviene invece la tua entrata nel mondo del cinema? Tra l’altro prestissimo, a soli 17 anni…

Sono stato fortunato perché Grosseto è una piccola città di provincia, ai tempi senza troppi stimoli. Ma a 17 anni ho potuto lavorare su alcuni set di Francesco Falaschi, regista mio concittadino. All’inizio era più una curiosità, non trovavo un senso preciso, o meglio un ordine, dietro al lavoro di tutti quei professionisti. Ma poi mi sono accorto che era un po’ come per il calcio. I giocatori non corrono dietro alla palla tutti insieme. L’ordine c’è, ci sono ruoli, si punta ad avere un’armonia coordinata da una sola persona: l’allenatore o il regista nel cinema. Ed è così che mi sono interessato alla regia.

La tua prima regia, correggimi se sbaglio, è il cortometraggio NO END del 2007. Com’è stata la tua prima esperienza dietro la macchina da presa? Di cosa parla NO END?

In realtà ho realizzato altri 2 cortometraggi prima. Piccoli lavori che mi hanno permesso però di confrontarmi con amici e collaboratori e più che altro con una storia da raccontare. No END è però il mio primo corto un po’ più strutturato e con un cast di attori professionisti: Alessandro Sampaoli ed Elisabetta Magnani. È una storia molto cruda: una donna viene violentata dentro casa sotto gli occhi del figlio, che filma tutto con la sua telecamera. “No end” perché quelle immagini rimarranno impresse nella memoria del bambino per sempre, come se fossero in un eterno loop senza fine. Ai tempi studiavo critica del cinema ed ero in totale adorazione per Haneke. Probabilmente ha influenzato quel tipo di lavoro.

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Dopo NO END arriva un altro corto DUEDITRE, a mio parere stupendo. DUEDITRE è un degno precursore dei tuoi futuri lungometraggi, sia per lo stile di regia che per le tematiche affrontate…

DUEDITRE è un corto che ho scritto con mio fratello Lorenzo. È una storia più calda rispetto a NO END. Meno subordinata a una ricerca stilistica estrema. È ancora grezza a livello di messa in scena, ma è un corto al quale voglio molto bene. A livello di evoluzione professionale mi ha dato la possibilità di entrare in contatto con nuovi professionisti (in quegli anni alternavo allo studio universitario il lavoro su set nei ruoli più impensabili per un aspirante regista – costumi, scenografia, produzione e poi fotografia e regia da assistente), come il direttore della fotografia Michele D’Attanasio (LO CHIAMAVANO JEEG ROBOT, VELOCE COME IL VENTO), Gianni Vezzosi al montaggio (SMETTO QUANDO VOGLIO, VELOCE COME IL VENTO), Mirko Perri al suono (LA GRANDE BELLEZZA, ANIME NERE, YOUTH, THE YOUNG POPE), e altri ancora. Professionisti e amici con i quali lavoro ancora oggi.

Nel 2011 con GIOCHI D’ESTATE di Rolando Colla, fai la tua prima esperienza di assistente alla regia. Com’è andata?

Non è stata la prima, avevo già lavorato con altri registi. L’esperienza su quel film è stata bellissima. Rolando è un regista molto bravo, attento al lavoro con gli attori e al calore delle scene che racconta. Vive in modo molto forte il set ed è stata la prima volta che ho compreso veramente quanto sia difficile fare il regista, quando sia un lavoro estremamente solitario. E come a volte possa diventare una guerra interiore ed esteriore.

L’anno dopo giri un mediometraggio, PASCOLI A BARGA, un documentario sul poeta Giovanni Pascoli. Come nasce questo progetto? Sei anche sceneggiatore del mediometraggio?

L’ho scritto insieme a Davide Orsini ed è il secondo progetto che ho realizzato con Davide alla scrittura, dopo un corto documentario intitolato FIGLI DI DIO, frammento del film partecipato PRANZO DI NATALE, prodotto dalla Marechiaro Film di Antonietta De Lillo, presentato al Festival Internazionale del Cinema di Roma. Per quanto riguarda PASCOLI A BARGA, avevo lavorato come assistente alla regia con  Lorenzo Minoli, produttore di tantissime coproduzioni italo-americane. Pochi mesi dopo Lorenzo mi commissionò questo progetto. Si tratta di una docu-fiction a basso costo, un progetto che mi ha permesso di scoprire luoghi bellissimi (la Garfagnana e tutto il barghigiano sono zone meravigliose) e rimettermi a studiare i testi, sottovalutati ai tempi della scuola, di Giovanni Pascoli.

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Nel 2013 arriva il film che comincia a farti conoscere ad un pubblico molto piu’ vasto: AQUADRO. È anche il primo lungometraggio che scrivi e dirigi. Il parere del sottoscritto è “lapidario”: AQUADRO è un capolavoro. Uno dei migliori film italiani sulle tematiche giovanili. Senza “se” e senza “ma”. Come è nata la sceneggiatura? Hai preso spunto da fatti di cronaca?

Dopo un primo tentativo breve con FIGLI DI DIO, e quello medio con PASCOLI A BARGA, AQUADRO è il primo risultato lungo del tandem con Davide Orsini. Abbiamo scritto la sceneggiatura in un annetto scarso, nei ritagli di tempo. Ma ci siamo subito resi conto che si trattava di una storia con un gran potenziale anche grazie all’attinenza con la cronaca. Infatti AQUADRO è una storia d’amore tra due adolescenti che vivono una normalissima quotidianità fatta di porno online e sport pomeridiano. Un’educazione sentimentale\sessuale 2.0 delle generazioni di oggi che ruota attorno a un video intimo che finisce online. L’iter del film è stato rapidissimo: una volta scritta la storia, ci siamo trovati prima a vincere il Premio Mattador e poi a essere finalisti al Premio Solinas Experimenta. Ed è proprio grazie al Solinas che la sceneggiatura è stata notata da Rai Cinema che ha voluto subito produrla in un progetto di film realizzati per la rete. AQUADRO parlava di adolescenti e di internet. E probabilmente è anche per questo che Rai Cinema ha voluto produrla subito.

(Nota: forse anche per i recenti casi di cronaca, Rai Cinema ha caricato da pochi giorni il film sulla piattaforma Rai Cinema Channel: http://www.rai.it/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-55350755-9920-4213-8a0c-892b5e7c191f-cinema.html )

Nel 2015 arriva la prima vera consacrazione: IN FONDO AL BOSCO, lungometraggio da te scritto e diretto, targato Sky, che ha come protagonista un intenso Filippo Nigro (forse nella sua migliore interpretazione di sempre). Un magico e perfetto connubio di diversi generi: drammatico, thriller e horror, condito con il tocco d’autore “alla Lodovichi”, che ormai da AQUADRO e dal corto DUEDITRE si riconosce e si apprezza. IN FONDO AL BOSCO, non lo nascondo, mi è piaciuto tantissimo: mi ha commosso e turbato allo stesso tempo. Ed è girato in una zona di montagna che tutti e 2 amiamo…

Un anno dopo AQUADRO il gruppo di scrittura si è allargato a Isabella Aguilar (DIECI INVERNI) e, insieme con Davide Orsini, abbiamo iniziato a lavorare a una storia che, prima di tutto, ci divertisse. E così è nato In fondo al bosco, un thriller-mistery con un’importante componente soprannaturale. Concordo pienamente con la definizione creata da Isabella per il nostro film: anche per me IN FONDO AL BOSCO è un “horror dei sentimenti”. Un dramma familiare con sfumature e derive oscure ambientato sotto la neve delle Alpi, che nasce dalla leggenda locale dei Krampus. Manuel è interpretato da Filippo Nigro che, nella mia testa, è sempre stato il volto del protagonista maschile di questa storia. Mentre quello della protagonista femminile, di Linda, ha trovato forma con più difficoltà e, dopo tantissimi incontri, ottimi provini di bravissime attrici, e scelte già compiute e poi cambiate in corsa, è arrivata un’attrice che con forza si è presa il ruolo, Camilla Filippi. Camilla ha un talento enorme, una forte personalità e una volta che lavora su un personaggio lo mette a nudo e ne studia ogni aspetto con una dedizione maniacale. Filippo è un attore con una delicatezza e sensibilità straripanti, che a volte sembrano contrastare con la sua forte presenza scenica. Ma è grazie a quel contrasto che Manuel è diventato il personaggio ruvido e imperfetto che avevamo scritto e che stavo cercando.

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Di ogni film che giri (compreso IN FONDO AL BOSCO), ti occupi anche della sceneggiatura…

Credo che un regista debba saper raccontare qualunque storia, valorizzandola al meglio senza nascondersi dietro ciò che racconta. La forza autoriale, lo stile, il linguaggio tipico di ogni autore, è in realtà la cifra che lo contraddistingue. A mio giudizio il ruolo del regista non è quello di scomparire dietro la storia ma di riuscire a valorizzarla con il proprio sguardo, con personalità, senza però eclissarla. Ci sono registi che raccontano le proprie storie, altri che invece entrano soltanto in fase di realizzazione. Ma non c’è una cosa migliore dell’altra. Personalmente mi diverto a lavorare sull’immaginario di una storia fin dalla sua creazione. E forse è anche per questo che le produzioni con le quali lavoro tendono a farmi entrare nelle prime fasi di progettazione, perché così è tutto più semplice e “rotondo”, personale.

Quali sono i film italiani che hai maggiormente apprezzato negli ultimi 5 anni? E gli horror recenti italiani che hai apprezzato di piu’?

Non sono un vero appassionato di horror. Sono semmai un appassionato di fantascienza ma questo perché ti permette di lavorare sul simbolismo, muovendoti agilmente con iperbole o paradossi facili e divertenti. In generale però preferisco chi mixa i generi agli integralisti nudi e puri. E c’è da dire che negli ultimi anni in Italia ci stiamo divertendo un po’ di più. E non parlo soltanto dei registi o degli autori e di chiunque faccia questo lavoro (dai direttori della fotografia ai produttori, da chi fa fx al suono, ecc), ma anche degli spettatori. Finalmente si iniziano a vedere in sala film di genere come VELOCE COME IL VENTO, JEEG, IN FONDO AL BOSCO, che hanno la voglia di uscire un po’ dal canonico stereotipo autoriale all’italiana o da commedia che siamo abituati a vedere da tempo. Penso anche al più recente MINE di Fabio & Fabio, esempio molto interessante di intrattenimento all’americana fatto da due teste italiane. In generale non è un caso che gli incassi di questi film, anche se in rapporti differenti tra loro, siano tutti buoni o ottimi. Perché alla fine siamo quello che mangiamo: scriviamo e giriamo una continua reinterpretazione di quello che ci ha cresciuto da piccoli. La principale educatrice incontrollata della mia generazione (sono del 1983) è stata la televisione. I film della Disney, PREDATOR, gli anime che andavano sulle tv private regionali, LA STORIA INFINITA, UNA POLTRONA PER DUE, GIORNI DI TUONO, un tempo erano questi i film che ci facevano compagnia tutti i giorni o i “film di natale”, quelli che venivano trasmessi durante le vacanze. D’estate era invece il turno di X-FILES, LO SQUALO, e tutti quei film più d’essai che andavano in onda nella seconda serata sulle rete Mediaset. Sono quei film, è colpa (ma direi più fortuna) di quei palinsesti “di genere”, se ci stiamo trovando una generazione di nuovi autori. E adesso il risultato non potrà che essere spettacolare. Mi chiedo se oggi TWILIGHT non sia un classico della vigilia di natale un po’ come lo era BEN-HUR (quello di William Wyler) per la mia famiglia, quando ero piccolo. Se così fosse, beh, tra una decina di anni avremo autori più interessati ai vampiri che alle corse con le bighe.

Allo stato attuale,dopo la faticaccia di IN FONDO AL BOSCO, a quali progetti stai lavorando?

La necessità di un regista è quella di essere sempre in costante movimento. I tempi di realizzazione di un film sono mediamente molto lunghi, parliamo di anni dal momento in cui inizi a scrivere fino a che non batti il primo ciak. E per questo motivo quasi tutti i registi cercando di portare avanti più progetti in contemporanea, tra cinema, pubblicità e televisione. E anche per me è così: diciamo che sono in una fase trasversale di scrittura.