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I Am Mother: Storia di un droide materno

All-female sci-fi thriller, opera prima del regista Grant Sputore, I Am Mother è una sorta di futuristic chamber piece. Cinema da camera fantascientifico che rende omaggio al genere, usando stilemi e idee provenienti da altre parti.

Il film infatti attinge più o meno dichiaratamente da 10 Cloverfield Lane a Moon, da Ex Machina a Humandroid, da Terminator ad Alien (Mother è anche il nome del computer di bordo della Nostromo di Alien). Ovviamente (neanche a dirlo) c’è tanto 2001 Odissea nello Spazio. Nel modo in cui affronta temi come la roboetica e dual use della tecnologia, potrebbe anche ricordare un episodio di Black Mirror.

La sceneggiatura, di Michael Lloyd Green, è in gran parte ambientata in elegante “repopulation facility”, una sorta di impianto di ripopolamento, a seguito di un evento di estinzione globale, avvenuto nel mondo esterno. Un androide chiamato Madre (doppiato dalla voce rassicurante e gentile di Rose Byrne), ha accesso a un campionario di 63.000 embrioni umani. Il fine è quello di ripopolare la terra. Grazie ad un elegante montaggio iniziale vediamo una piccola bambina crescere e diventare adolescente. Il suo nome è semplicemente Figlia ed è interpretata da una sorprendente Clara Rugaard che ricorda una giovanissima Natalie Portman. L’equilibrio tra il robot e la piccola umana è tenero ed affettuoso.

Almeno fin quando nel bunker non arriva un terzo personaggio, un’umana, ferita e in fin di vita, chiamata semplicemente Donna, interpretata da Hilary Swank (che ricorda una combattiva Sarah Connor/Linda Hamilton). Il robot Madre è davvero la premurosa figura materna che dice di essere? Cosa c’è veramente fuori? Chi ha voluto l’estinzione della specie umana? La piccola Figlia resterà fedele al robot o ascolterà un estraneo della sua stessa specie?

Solo a questo punto nel film subentrano altri sottotesti, in primis questa anomalia genitoriale. Il concetto stesso di come un androide possa crescere con successo un bambino è affascinante in sé. La pellicola gioca con questo spunto.

In un’epoca in cui i giovani vengono istruiti più da Siri, Alexa o Cortana che dai proprio genitori e/o insegnanti, diventano attuali e interessanti le riflessioni che si pongono gli autori. Come e in che maniera un meccanoide materno influenzerebbe lo sviluppo di un bimbo e tutti gli aspetti psico-cognitivi e pedagogici di tale approccio all’apprendimento.

Ovviamente tali considerazioni non tolgono nulla alla godibilità del prodotto e alla tensione psicologica del thriller che rimane serrata fino all’ultimissima inquadratura.

Presentato in anteprima al Sundance Film Festival nel gennaio del 2019 e distribuito direttamente su Netflix, I am Mother è assurto in breve poche settimane ad “instant cult”, aprendo alla possibilità ad un sequel.