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Halloween di John Carpenter- L’origine di una leggenda

Halloween

Era il 1978 quando il trentenne John Carpenter, reduce dai primi Dark Star e Distretto 13- Le brigate della morte, girò il suo terzo film, nonché il suo primo capolavoro horror: Halloween.

Halloween, che inizialmente venne intitolato The Babysitter Murders, fu una geniale idea del produttore indipendente Irwin Yablans. Non solo egli, assieme a Moustapha Akkad (secondo produttore esecutivo del film) illuminò Carpenter col soggetto- scritto insieme alla compagna dell’epoca Debra Hill– desiderandolo fortemente alla regia dopo aver visionato Distretto 13, bensì fornì anche l’idea principale: quella di ambientare la storia durante la nottata di Halloween e di intitolarlo così causando un forte impatto, anziché come la loro primaria scelta.

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Halloween non fu solamente un espediente per cambiare rotta nella propria carriera, ma un vero e proprio esperimento cinematografico.

L’opera di Carpenter, pur possedendo un budget poco elevato, è riuscita a divenire uno dei lavori indipendenti più redditizi e profittevoli di sempre. Questo, non solo per la grande lavorazione che v’è stata dietro, bensì per l’innovazione da essa portata. L’originalità e l’importanza storica del film di Carpenter sono facilmente notabili dalla numerosa sfilza di emulatori ed estimatori accumulati negli anni.

Se la storyline originale era semplificata a un’idea più scarna- un killer che semplicemente ammazza babysitter- la realizzazione futura dimostrò non solo capacità nella scrittura e nella regia, ma anche nella messa in scena (se si pensa che il film è stato girato con 300.000 dollari in un arco di tempo di soli 20 giorni).

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Si sa anche che, tra le maggiori ispirazioni di Carpenter, vi furono i maestri Alfred Hitchcock e Dario Argento. Essenziali furono, infatti, le loro principali opere nella realizzazione di Halloween. In particolare, la colonna sonora a cura dei Goblin di Profondo Rosso fu una fonte vitale di creatività per il giovane Carpenter. Il suo Halloween Theme, magistrale nella sua spontaneità, non si serve di sinfonie articolate e complesse.

Ed è proprio per questo che, il tema sonoro così riconoscibile, ancora oggi, fa paura.

Proprio i brividi causati da questa tipologia di cinema, diedero il via per la creazione di uno stampo registico che sarebbe stato poi riconosciuto dal mondo.

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Il personaggio di Norman Bates fu di vitale importanza per la realizzazione di quello che è, oramai, il papà di tutti i serial killers: Michael Myers.

Michael, interpretato da Nick Castle, prese come maschera una rivisitazione del volto di Capitan Kirk in Star Trek. La soggettiva utilizzata da Carpenter (soprattutto nel primo, superbo, piano sequenza iniziale) è figlia di un altro capolavoro degli anni ’70. Black Christmas infatti, gioiello slasher del 1973 di Bob Clark,  non è altro che un precursore dell’opera di Carpenter. Ciò, non solo per l’idea di inserire gli atti di un’omicida di giovani ragazze durante la serata di una festività.

Il punto in comune- e anche il più affascinante a livello stilistico- rimane proprio la visione degli eventi attraverso gli occhi dell’assassino.
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L’identità di Michael Myers, così oscura, misteriosa e trasparente, viene paragonata, nell’opera, all’ombra della strega. Michael rappresenta infatti, proprio quel male che si aggira intorno all’uomo come un’ombra, non visibile ma sempre costante.

Prima d’ora non c’era mai stato un’omicida, nel cinema, in grado di terrorizzare in quel modo. Certamente il Leatherface di The Texas Chainsaw Massacre, di qualche anno prima, fu un tassello mostruoso del mondo horror. L’antagonista di Tobe Hooper, però, pur essendo divenuto poi un’icona di culto, non possedeva quella particolarità del ”mostro” carpenteriano.  Michael Myers si distingue da tutti i serial killer del cinema proprio per la sua componente agghiacciante, arcana e impenetrabile.

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Il film di John Carpenter portò a vari seguiti, fortunati e meno. La vicenda del piccolo Michael, che ammazzò a soli sei anni la sorella maggiore Judith Myers, è ormai una tradizione in tutto il mondo. Essa ha portato un successo esorbitante, ripreso anche nel remake/reboot del 2007 di Rob Zombie, stella nascente dell’horror. Ancora oggi, a distanza di 40 anni, il pubblico si ritrova di fronte a un ennesimo sequel diretto da David Gordon Green. In questo Halloween, ritorna sullo schermo la regina delle scream queens Jamie Lee Curtis nei panni di Laurie Strode.

L’originalità di Carpenter sta anche nell’aver dato uno spettro psicologico più ampio ai personaggi, donandogli il carisma giusto. La Laurie Strode di Halloween, infatti, è probabilmente una delle poche Scream Queens ad assumere una personalità così figurativa. Michael Myers, dal canto suo, è stato necessario anche per la creazione della figura orrifica di Jason Voorhes.

Il killer di Venerdì 13, infatti, ricalca proprio la figura mascherata, silenziosa e immortale, che proviene da Myers.

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Poche sono state le pellicole in grado di rivoluzionare e influire così tanto su un peculiare, ma vasto, tipo di cinema. Pur nascendo come un’idea commerciabile, Halloween stupisce ancora oggi, a distanza di quarant’anni, per il suo tocco autoriale. La sua capacità sta nel proporre vendibili soluzioni artistiche di stampo americano, ma con vocazioni europee. Le tendenze più italiche sono intrise nel tocco registico di Carpenter, che confezionò all’epoca un prodotto sì americano, ma con tocchi più improntati verso la visione cinematografica dell’occidente italico.

Halloween non è solo una barriera di genere, ”Il Padrino” del terrore. Halloween è il ritratto di come l’intimidazione più raggelante possa trovare casa nell’oscurità, dietro un arbusto, dietro una porta, in casa ma in ogni dove. Il quadro luttuoso di un male sia terraneo che trascendente, mortale e ultraterreno, che non ti avvisa prima della mossa letale.

Il male fa più paura quando è silenzioso.