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Hagazussa: A Heathen’s Curse

Hagazussa

Lukas Feigelfeld, emergente austriaco residente a Berlino, ha dato vita al suo film di debutto Hagazussa: A Heathen’s Curse.

A distanza di tre anni dall’uscita dell’ormai cult dell’orrore The Witch, di Robert Eggers, sembra che qualcheduno abbia tentato di riprovare la stessa strada. Feigelfeld, tramite il finanziamento del crowdfunding, ripropone i medesimi stilemi della splendida opera di Eggers.

Hagazussa

Albrun è una giovane vivente con la sua povera madre malata tra le Alpi austriache del XV secolo. Le due sono isolate nella gelida selva e rintanate in una baita, estranee al villaggio abitato. I loro compaesani le rifiutano, poiché considerate streghe, seguaci del demonio. Successivamente, l’inquietante e trascurata madre di Albrun muore di peste dinanzi ai suoi occhi. Albrun cresce. Vent’anni dopo ha una figlia di cui non si conosce il padre e abita ancora nella vecchia baita.

Qualcosa attorno a lei comincerà a smuoversi, talmente tanto da portare il caos nella propria mente, spinta a lottare tra realtà e vaneggiamenti.

Hagazussa

Hagazussa è, un folk d’essai dall’aspetto invitante, ma che tradisce gli illusi dopo la sua prolungata, affascinante, ma flemmatica visione.

Ciò che l’artista voleva riproporre risulta soltanto un riflesso dell’intento originale. Pur se vicino, superficialmente, a The Witch, suo logico ispiratore, per ambientazioni e atmosfere, ritmo lento e il femminino che incontra il luciferino, Hagazussa non riesce a raggiungere la stessa efficacia del predecessore. Feigelfeld possiede sì talento, ha occhio per la bellezza estetica, ma tutto ciò è ”abbellito” da una presunzione di fondo assai energica.

Difatti, l’opera prima del regista austro-tedesco, è fin troppo arrogante nel suo essere compiaciuta.

Hagazussa
Hagazussa è però anche un’opera visionaria, in cui le Alpi fanno da padrone per descrivere un’angoscia peculiare, derivata dall’inconscio umano. Ad esse si allegano un misticismo e un bigottismo allucinanti, ma non per questo di grande efficacia nel proprio realizzo.

Il fascino disarmante dei paesaggi, assieme al perfetto comparto tecnico e a una recitazione assurdamente splendida del cast (Aleksandra Cwen fa da suprema), non bastano però a rendere riuscito al 100 % un lavoro cinematografico, sì decisamente affascinante e da visionare, ma in cui l’esoterismo e il misticismo non sono altro che un prevedibile intimismo fine a sé stesso.